Paolo Nori mette sovente in scena anche se stesso nel libro che ha dedicato al grande scrittore russo. Al quale è lecito preferire un altro gigante: Tolstoj

Paolo Nori è un professore di lingua e letteratura russa, talmente preso dalla sua nobile materia di insegnamento da poter esibire come autore, a cinquantasette anni, decine di pubblicazioni: narrativa, saggi, traduzioni. Da alcuni mesi un suo libro (“Sanguina ancora”, sottotitolo “L’incredibile vita di Fëdor Mihajlovic Dostoevskij”, editore Mondadori) è in vendita in Italia, e tra non molto lo sarà in Francia. Nel frattempo, gli sono state dedicate numerose recensioni, e spero ne siano state vendute tante copie, quante ne merita. Già noto per i lavori sulla cultura russa, Paolo Nori ha acquistato peso quando è uscito quello che viene definito, a mio parere erroneamente, un romanzo, oppure, altrettanto erroneamente, un saggio biografico. Ci si può rifugiare nella definizione, forse anch’essa impropria, di racconto letterario scritto in prima persona. In realtà è una generosa introduzione, di 273 pagine più una lunga nota, a un corso sulla letteratura russa. Non solo su Dostoevskij, ma proprio sulla letteratura russa. Comincia con Puskin del primo romanzo, “Eugenij Onegin”, fino alle “Anime morte” di Gogol’. E spesso sconfina.

 

Ma al suo eroe Paolo Nori, in “Sanguina ancora”, riserva un posto privilegiato. Figura nel titolo. Scrive Nori che attraverso il racconto dell’incredibile vita di F. M. Dostoevskij, ingegnere senza vocazione, traduttore bistrattato dagli editori, genio precoce della letteratura russa, condannato a morte, graziato e mandato per dieci anni in Siberia, riammesso poi a Pietrogrado e sfinito dal vizio del gioco, si contribuisce a costruire, con Gogol’ (meglio di Gogol’), «il mito della più astratta e premeditata città del globo terracqueo».

 

“Sanguina ancora” viene definito erroneamente un romanzo. L’ho letto, però, con la passione con la quale si legge un romanzo. Un bel romanzo. Un romanzo raro. L’autore non dimentica se stesso. Si racconta mentre scorre i romanzi russi. Anche quando scrive di Dostoevskij non si trascura. Spunta sempre lui, o quasi, Paolo Nori, spesso in una lingua con sfumature emiliane che non mancano di eleganza e sono come un marchio delle sue origini regionali. Esiti quando prendi la responsabilità di definire la sua opera, a tratti autobiografica. Il risultato non cambia per un lettore-lettore quale sono. Ben lontano da un critico. E “Sanguina ancora” nei suoi brani autobiografici non mi disturba. Anzi stabilisce una complicità passionale con l’autore. Le complicità, sia pur passionali, consentono qualche libertà. Me ne prendo subito una. Nella mia lunga vita (ho 35 anni più di Nori), dopo avere comperato nelle librerie (anche d’aeroporto) di mezzo mondo e letto nelle pause di lavoro romanzi russi, quando saltavo dalla cronaca di una rivoluzione o di una guerra, dalla cronaca di un colpo di Stato a quella di una più quieta crisi politica, mi è capitato di approdare nei momenti di calma ad “Anna Karenina”. E l’ho preferita in quei giorni, ma non ritenuta superiore agli altri grandi romanzi russi. Per finire un capitolo in pace, durante un lungo scontro armato a Sarajevo, mi barricai nella mia stanza d’ albergo rafforzando la porta con il letto messo in verticale e sbarrando la finestra con l’armadio. Avevo già scritto e mandato l’articolo e potevo dedicarmi a Tolstoj in santa pace. Ero allora giovane e non mancavo di iniziative. Di lettura in lettura cambiavo spesso opinione. Del resto, anche Nori, che nel suo viaggio nella letteratura russa è ben lontano dall’essere lineare, a un certo punto mette Tolstoj accanto a Dostoevskij. Alla pari. Un lettore è libero di rovesciare i giudizi. E non negandomi questa libertà la concedo anche a Nori. Col quale pur non conoscendolo di persona ho convissuto per 273 pagine.

 

Non so quante volte, dall’adolescenza in poi, ho letto romanzi russi (senza mai rinnegare Joseph Conrad che col suo sangue ucraino non è poi tanto spaesato). Sono arrivato fino ai nostri giorni con “Vita e Destino” di Grossman, che è un romanzo senza esserlo. E che non rientra, mi sembra, nelle letture del professor Nori. Se è vero, glielo consiglio. Con non poca faccia tosta.