Dentro e fuori
Non ostile a Mosca, Pechino rimane però prudente sull’invasione dell’Ucraina. Anche a causa degli errori compiuti da Putin
di Bernardo Valli
La guerra in Ucraina, secondo l’ambizioso progetto dell’invasore russo, era un importante passo verso un ampio mutamento negli equilibri mondiali, con il sostegno naturale della Cina di Xi Jinping. Questo era l’obiettivo, che nel frattempo si è appannato, perché l’esito del conflitto resta incerto. E comunque sembra lontano dalle previsioni di chi l’ha promosso. The Economist attribuisce ai due presidenti, Vladimir Putin e Xi Jinping, l’intenzione spontanea, scritta nei loro caratteri più che concertata, di suddividere il mondo in sfere di influenza dominate da alcuni paesi: il controllo dell’Asia Orientale affidato alla Cina, la sicurezza dell’Europa nelle mani della Russia titolare di un veto continentale, e l’America costretta a restare entro i suoi confini. Questo ordine alternativo non comporta valori universali o diritti dell’uomo che Putin e Xi vedono come un trucco occidentale per giustificare l’azione sovversiva contro i loro regimi.
La visione iniziale del conflitto ci ha riportato nel passato delle grandi guerre convenzionali. Poi, però, la visione ricca di ambizioni attribuite, maturate nella mente dello “zar” miliardario Putin uscito dalle rovine del tardo comunismo, ci appare avvolta dalle nebbie dell’incertezza. Avendo conosciuto la Cina della “rivoluzione culturale” fallita e rinnegata, la sua decadenza mi è sembrata dapprima un naufragio. Poi, invece, rivoltata come un abito in disuso, ha condotto, nei decenni, grazie alla tenacia e alle sofferte riforme, alla formazione della seconda potenza economica mondiale. Oggi viviamo con una Cina che esibisce un prodotto interno lordo dieci volte superiore a quello russo, che trent’anni fa era uguale a oggi. Dall’alto dei suoi bilanci, in questi nostri giorni, deve osservare sconcertata, con perplessità, la contrastata e incerta invasione russa dell’Ucraina. L’esibita amicizia di Xi Jinping per Vladimir Putin, sbandierata come un’alleanza, deve essersi inquinata. O riposta, nell’attesa degli eventi, in un limbo.
Nonostante le effimere effusioni tra Mosca e Pechino, tra i loro massimi dirigenti i rapporti cino-russi vengono definiti una “quasi alleanza” non di più. La maggioranza degli esperti, in particolare quelli dei paesi limitrofi, russi compresi, ritengono che la Cina tratti gli altri paesi o come subordinati o oppositori. È quindi escluso che la diplomazia cinese in questa difficile fase russifichi il suo comportamento. Nella incerta situazione ucraina Mosca deve contare sulla propria forza militare, Pechino, non coinvolta direttamente nel conflitto europeo, come seconda potenza economica mondiale deve tener conto dei rapporti con i numerosi paesi clienti, che in quanto tali contribuiscono alla sua economia.
Gli osservatori americani hanno una posizione più diretta e non condividono le analisi su una Cina fortificata nei propri interessi economici, e notano nel suo cauto comportamento con la Russia una certa propensione a favorirla. La diplomazia di Pechino si presta dunque a varie interpretazioni. Negli ultimi decenni la politica estera cinese ha compiuto svolte incisive. E il più delle volte solitarie, vale a dire dettate dai propri stretti interessi, La prima fase della guerra in Ucraina ha rivelato che la Russia non ha ben valutato la capacità di resistenza del paese che ha invaso. Né la mobilitazione in suo favore che ha suscitato nel mondo. Questi fatti non sono certo sfuggiti a Pechino.
Scrive Le Monde che nel 1944 Stalin disse a William Averell Harriman, allora ambasciatore degli Stati Uniti nell’Unione Sovietica, che i cinesi erano «comunisti di margarina». L’allora leader del Cremlino è stato sprezzante nel confronto di quelli che considerava copie secondarie dei comunisti sovietici. Il rapporto di vassallaggio si è rovesciato. Va detto che anche le posizioni ideologiche sono mutate da allora. La Russia non è più comunista e la Cina lo è molto di meno. È in corso una grande gestione del pianeta politico ed è azzardato trarre conclusioni su quel che nascerà. C’è da chiedersi tra l’altro se l’aggressore Putin resterà a lungo al posto di comando a Mosca. La sua promessa vittoria lampo si prolunga ed è sempre più incerta.