Analisi
La guerra in Ucraina dimostra ancora una volta che l’Europa è fuori dal Grande Gioco
Il conflitto logora la Russia e la spinge verso la Cina, mentre gli Usa legano l’Unione Europea ai propri disegni, impedendogli di avere una voce terza. Ma questa impotenza politica rischia di diventare rapidamente anche decadenza economica
Dovremmo essere tutti ben coscienti che il «Grande Gioco» sta sempre più svolgendosi sull’orlo del precipizio e che occorre ogni arte politico-diplomatica, ben più che virtù militare, per risolverlo. Questo «Gioco», che va anzitutto affrontato nella sua complessità e radicalità, non con discorsi da tifosi del bar dello sport, è quello che oppone i due grandi Imperi vincitori della seconda Guerra Mondiale. Molti lo credevano e speravano superato con il crollo dell’Urss. E sarebbe stata speranza fondata, se da una parte non si fosse continuato a credere nelle proprie «divine missioni» di democratizzazione e redenzione dei popoli, e, dall’altra, non si fosse affermata, spartendosi le spoglie dell’Urss, una classe politico-economica oligarchica, agitata da interessi contrastanti tenuti insieme da un regime autocratico (molto simile, davvero, a uno Stato-mafia). Il contrasto tra i due Imperi non poteva che crescere, moltiplicandosi da crisi a crisi.
La «terra di nessuno» è andata assottigliandosi sempre più, fino a diventare la linea di combattimento tra esercito ucraino e armata russa. Il punto di contatto può esplodere in ogni momento, senza che nessuno lo voglia o lo progetti. Che, perdurando la situazione attuale, sia la Russia a indebolirsi strutturalmente, non è dubbio. Non certo soltanto a causa dell’immagine odiosa di Stato invasore, e meno ancora per il suo conclamato dai nostri media isolamento internazionale (isolamento con Cina, India, Brasile, ecc. ecc?).
L’indebolimento deriva dalla fragilità delle sue strutture produttive, del suo sistema economico-amministrativo, per la natura stessa del suo regime politico. E per il fatto che essa è costretta, non solo per il peso, certo molto efficace, delle sanzioni, a legarsi alla Cina in posizione sempre più subalterna. E chi ha un minimo di memoria storica sa bene come una tale prospettiva sia stata sempre fieramente contrastata dalle élite russe di ogni epoca e di ogni colore.
Altrettanto evidente è che, perdurando sempre la guerra in Ucraina, la potenza che ne trae i massimi benefici è l’America. L’indebolimento dell’avversario storico è già un successo di per sé. Ma soprattutto lo è il poter legare alla propria politica l’Unione Europea in una forma così radicale come non era nei fatti mai accaduto durante la guerra fredda. Che gli Stati Uniti abbiano sempre visto con preoccupazione, per così dire, la possibilità di un ruolo autonomo e progressivo dell’Europa su scala globale, fondato su un nuovo modello di Stato sociale, non certo sulla percentuale del Pil destinata ad armamenti, credo equivalga ad affermare un semplice matter of fact. Questa possibilità sembra franata nel corso degli anni e questa guerra temo l’abbia sepolta.
Così accade che, anni luce lontani dal fine per cui l’Unione era nata, siamo costretti a vivere un altro, tragico capitolo della guerra civile europea. Già avevamo conosciuto la catastrofe nella ex Jugoslavia, ma ora la situazione è infinitamente più a rischio, poiché né Europa né Usa potrebbero intervenire in prima persona bombardando, non dico la capitale, ma neppure il carro armato di uno dei contendenti, per «mettere pace», senza scatenare la terza Grande Guerra.
La crisi nella ex Jugoslavia esplode a ridosso del crollo del sistema imperiale dell’Urss uscito da Yalta, e l’impreparazione europea si poteva anche giustificare. Ora, essa è testimonianza di un drammatico fallimento. In Ucraina era in atto una aperta guerra civile da quasi dieci anni, con corredo di colpi di stato e rovesciamenti vari tra oligarchie in lotta. Questa guerra coinvolgeva la Russia. È guerra in Europa o no? Questa non è una domanda intellettual-culturale astratta, ma la domanda politica strategica che l’Europa occidentale avrebbe dovuto e dovrebbe porsi. La sua strategia si colloca in una prospettiva che vede la Russia parte e funzione dei nostri destini, o un Impero straniero, se non nemico, appartenente alla Grande Terra d’Asia? In questo caso, è giusto erigere altri Muri e munirli di saldissimi presidi. Altrimenti, la strategia dell’Europa Occidentale avrebbe dovuto e dovrebbe proporsi come instancabile ricerca di mediazione e di accordo tra i contrastanti interessi delle nazioni che hanno riaffermato la propria identità dopo il crollo dell’Urss, procedendo a costruire la loro partecipazione al disegno unitario non in una chiave di contrapposizione strategico-militare nei confronti della Russia.
Sta qui la chiave della grande politica europea almeno da un secolo. O l’Europa concepisce il proprio destino, ovvero la propria destinazione, come creazione di un foedus tra Occidente e Russia, così come tra Occidente e Mediterraneo, in grado di competere con i nuovi spazi imperiali e di avere qualche parte nelle colossali trasformazioni in atto nel continente africano, oppure la sua impotenza politica diverrà rapidamente anche decadenza e tramonto economico. Abbiamo purtroppo già a disposizione un’immagine-simbolo di tale decadenza. Ucraini e russi, nazioni collegate per le stesse tragedie che hanno vissuto da radici inestirpabili, nel pieno di una guerra, che è anche vera guerra civile, cercano un accordo non intorno a un tavolo presieduto dall’Unione Europea, non in forza di una autonoma iniziativa europea, ma in Turchia davanti a quel perfetto esemplare dello spirito democratico dell’Occidente rappresentato da Erdogan.
E se arriveremo al termine di questa tragedia non «grazie» alla vittoria militare di uno o dell’altro dopo altre migliaia di morti, bensì in base a un accordo politico, questo sarà sancito da Usa e Russia, e sottoscritto dall’Europa.