Budapest nel’56, Praga nel’68. Ora i carri armati sono in Ucraina. Finito il comunismo sovietico resta la voglia di ricreare la potenza del passato

Comincia così il saggio di Milan Kundera del 1983, adesso ripubblicato da Adelphi con il titolo “Un Occidente prigioniero”. Lo scrittore ceco naturalizzato francese racconta che nel settembre del 1956 il direttore dell’agenzia di stampa ungherese, pochi minuti prima che il suo ufficio venisse distrutto dall’artiglieria sovietica, trasmise al mondo intero per telex un disperato messaggio sull’offensiva che poche ore prima i russi avevano lanciato contro Budapest. Il messaggio finisce con queste parole: «Moriremo per l’Ungheria e per l’Europa». Cosa voleva dire? si chiede Kundera. Certamente che i carri armati sovietici mettevano in pericolo l’Ungheria e, insieme, l’Europa. Ma in che senso, si chiede sempre Kundera, l’Europa era in pericolo? I blindati russi erano forse sul punto di varcare le frontiere ungheresi e dirigersi a Ovest? No. Il direttore dell’agenzia di stampa ungherese voleva dire che in Ungheria era l’Europa a essere presa di mira. «Perché l’Ungheria restasse Europa era pronto a morire».

 

“Morire per l’Europa” non è uno slogan di molti in questi nostri tempi, mentre l’Ucraina si difende dall’invasione ordinata da Putin ed eseguita con grande difficoltà e tra tante incertezze, cento giorni dopo l’inizio dell’aggressione. Ho vissuto l’invasione dell’Ungheria nel ’56, come giovane cronista incaricato di accogliere i profughi che superavano i confini nazionali per rifugiarsi in Occidente. Riassumo il significato di quegli avvenimenti drammatici per il giornalista alle prime armi, trovatosi di fronte a quel che appariva una rivolta contro il comunismo imposto dalla super potenza sovietica vittoriosa della Seconda guerra mondiale. Nei partiti comunisti all’opposizione nell’Europa democratica si accesero crisi e si verificarono defezioni, in particolare tra gli intellettuali. Non furono in pochi, allora, a ripudiare l’affiliazione al Pci. Tra questi Italo Calvino che proveniva dalla Resistenza ligure. Ma oggi non sono in discussione le ideologie. Quel che ci riporta al passato non le riguarda. Le più evidenti tracce di allora sono i miliardari che hanno approfittato della smobilitazione marxista. Sono loro i resti più vistosi di un sistema che predicava, più che rispettare, l’uguaglianza sociale. Prima dell’insurrezione ungherese ci furono a Berlino i moti operai, nel ’53. La strada è stata lunga, con numerose, e spesso sanguinose, tracce.

 

Ho cominciato dalla mia prima esperienza, vissuta con reazioni intense da un giovane reporter. Poi ne vennero tante altre, sempre in Europa. Anzitutto la Cecoslovacchia, nel ’68. In quell’estate vivevo praticamente ai piedi dei carri armati sovietici che presidiavano piazza Venceslao a Praga. Milan Kundera li ha vissuti quei giorni nella sua Brno natale.

 

Viene in mente una vecchia sentenza: ha perso il pelo ma non il vizio. È il caso della Russia di Putin, non più sovietica, non più idealmente e formalmente discendente della Rivoluzione d’ottobre, e che, impero in decadenza, è ansioso di recuperare le terre perdute. Quindi il potere che esse comportano. Ho passato mesi nella Polonia insofferente all’imposto pseudo comunismo, conteso nella nazione cattolica, e ho vissuto le tragiche settimane rumene da Bucarest. Più sanguinose di quelle storiche che riunificarono Berlino, e quindi la Germania.

 

Il secolo passato, che ho in gran parte percorso, mi ha riservato alcuni tra i maggiori eventi della storia: la Seconda guerra mondiale, con la fine del nazismo e del fascismo; la decolonizzazione che ha fatto emergere tante nazioni di quello che un tempo fu chiamato Terzo Mondo; la fine della dittatura marxista e quindi il travolgente fallimento della rivoluzione sovietica. Non pensavo di diventare testimone, a volte diretto, di tanti mutamenti. Il nuovo secolo, anzi millennio, che mi apprestavo a vivere come ultima tappa della già lunga esistenza, ricca di grandi mutamenti, non mi avrebbe riservato sorprese tragiche come il Novecento. Ecco invece che nel paese in cui il comunismo reale (non quello immaginato e mai concretizzato) è stato sepolto senza tanti onori, risorge un regime non più comunista, ma ansioso di recuperare almeno parte delle glorie perdute. Il conflitto in Ucraina ci dirà se la Mosca di Putin ne sarà capace. Se riuscirà sarà un rimbalzo della storia.