Nel 1948 i nazionalisti sconfitti da Mao portarono sull’isola migliaia di opere d’arte e oggetti preziosi fino allora custoditi nel Museo di Pechino

I quattordici ritratti coprono una parete della mia camera da letto. L’ultimo sguardo prima di addormentarmi è d’istinto verso di loro. E al risveglio il primo è altrettanto naturalmente per loro. Non c’è nulla di religioso, di filosofico o di romantico. Il fatto è che chiudendo o spalancando gli occhi li ho proprio davanti. Mia moglie li trova inquietanti, si sente osservata, spiata. Ma a me quelle facce sono ormai familiari. Sono le quattordici copie dei ritratti di Confucio e dei suoi seguaci comperati a Taipei tanti anni fa, che ho fatto incorniciare e che da allora ho sempre sotto gli occhi. Sono un ricordo. Un prezioso ricordo dell’Asia, della Cina. Su un’altra parete c’è la copia di un altro dipinto, un rotolo (scroll) proveniente sempre da Taipei, purtroppo in parte lacerato, ma pur sempre di grande valore per me. Questi ritratti, cimeli che riassumono lunghi soggiorni in Estremo Oriente, sembrano a volte, ad esempio adesso, prendere vita. La fantasia di un vecchio viaggiatore fa questi scherzi. Si confonde con la memoria dell’anziano reporter. L’attualità riacciuffa i ricordi. Nel nostro caso la Storia. In questi giorni Taipei, Taiwan, sono su teleschermi e prime pagine.

 

Non penso che, a parte l’Italia, ci siano molti altri luoghi sulla terra simili all’isola di Taiwan (grande poco più di trentaseimila chilometri quadrati), in cui siano concentrate tante opere d’arte. Quella provincia autonoma o indipendente o repubblica che sia, è il poco che resta territorialmente di un impero sconfitto: la Cina nazionalista. La quale ritirandosi, dopo la disfatta, in esilio sull’isola a 180 chilometri dalla madre patria diventata comunista, ha perso il paese, ma fuggendo - umiliata dalla rivoluzione maoista - ha portato con sé uno dei più grandi bottini di guerra.

Nel novembre 1948, di fronte all’insurrezione, furono noleggiate tre navi per trasferire a Taiwan i pezzi più belli e pregiati. Dapprima il convoglio scaricò quel che aveva a bordo in varie grotte, in particolare in quelle di Wufeng, vicino a Taichung. Negli anni successivi le opere d’arte arrivarono via via, senza fretta, a Taipei. Quel bottino (697.490 pezzi e oggetti antichi) sottratto in gran parte al Museo del Palazzo, cioè alla Città proibita di Pechino, prima della disfatta con l’arrivo delle truppe maoiste nemiche, finì nell’isola rimasta nelle mani del Kuomintang.

 

Il governo di Pechino ha come obiettivo di unificare l’impero; quindi, di recuperare le terre rimaste fuori dal suo controllo. La flotta che nelle ultime settimane navigava minacciosa violando le acque territoriali dell’isola secessionista, era anche frustrata dal non potere allungare impunemente la zampa come ha già fatto con Hong Kong. Taiwan è un osso più duro. Alle spalle ha gli Stati Uniti, oltre a possedere un sistema difensivo efficace e un braccio di mare abbastanza ampio che lo separa dalla Cina. Mentre scrivo questa sembra la situazione, ma un giorno Pechino potrebbe azzardare un’operazione rischiosa.

 

Il paese al tempo di Mao non era ancora una super potenza. Oggi viene subito dopo gli Stati Uniti. La Russia di Putin, amica della Cina di Xi, una volta apparteneva a un rango superiore. Oggi ha perso peso. Ma questo non sembra dare a Pechino una libertà d’azione sufficiente a sfidare Washington e attaccare Taiwan.

 

Quest’ultima su un piano industriale ha una notevole importanza: ospita centri modernissimi, tra i più avanzati nel mondo. L’informatica vi è sovrana. L’alta tecnologia è a tal punto sviluppata da avere tra i suoi clienti paesi come gli Stati Uniti e il Giappone, e al primo posto la stessa Cina. Taiwan è anche uno dei paesi che ospita collezioni d’arte di valore inestimabile. Il tesoro che la Cina di Mao si è vista soffiare sotto il naso nel novembre 1948.

 

Per Pechino è stato un furto. Ma Taipei risponde che in quel modo il tesoro nazionale si è salvato dalla furia iconoclasta della rivoluzione culturale. Quando i giovani esortati dal potere distruggevano quel che ricordava il passato, opere d’arte comprese. La Cina tanto più potente e più “saggia” non può che avere tra i suoi obiettivi il recupero completo di quell’immenso patrimonio. E il recupero integrale passa attraverso la sottomissione di Taiwan.