Il piano nazionale di ripresa e resilienza le risorse, ma la politica deve decidere come utilizzarle. Si può favorire la parte del Paese che lavora per la transizione verde, oppure accrescere le disuguaglianze

Due Italie coesistono l’una accanto e dentro l’altra. In campo sociale, ci sono organizzazioni di cittadinanza attiva che danno voce a saperi e aspirazioni delle persone rimuovendo «ostacoli al pieno sviluppo della persona umana»; ma anche associazioni che sfruttano la loro natura “terza” per prendere commesse facili e sottopagare il lavoro. In campo pubblico, lavoratori e lavoratrici che rischiano nell’interpretare discrezionalmente procedure ridondanti per servire il Paese; ma anche funzionari che si nascondono dietro le norme senza attenzione all’effetto del loro agire o non agire. In campo privato, imprese piccole, medie e medio-grandi che innovano, rischiano, creano buoni lavori, hanno relazioni industriali democratiche, rendono trasparente il proprio impatto ambientale e fanno della sostenibilità uno strumento; ma anche un mondo imprenditoriale che non innova, non garantisce la sicurezza di chi lavora, relegandolo nell’irregolarità, e nasconde i danni ambientali.

 

Le politiche possono eliminare ostacoli all’Italia giusta. Oppure assecondare l’Italietta – si merita questo nome — verso un’inarrestabile decadenza dove le disuguaglianze diventano ancora più grandi. Quando hai per le mani risorse speciali, che non torneranno, come col Pnrr, la responsabilità è maggiore. Puoi pensare solo a spenderle – se ci riesci – per dare un po’ di ossigeno all’Italietta, o usarle per compiere una svolta e liberare l’altra Italia.

 

Ecco perché i risultati delle analisi dell’Istituto Fermi sono così importanti. Ci descrivono con rigore un pezzo dell’Italia che lavora per un futuro più giusto. Usando le informazioni sulla capacità di brevettare nuove idee, ci mostrano che sul fronte delle tecnologie di una transizione verde siamo nel pacchetto delle prime nazioni d’Europa, anche se non in testa, e che lo siamo grazie a un ruolo significativo nelle energie rinnovabili e nell’economia circolare. E ci mostrano anche la posizione primaria della Lombardia e di rilievo dell’Emilia-Romagna. Ma pure segnali significativi nel Sud, che è decisivo cogliere.

 

Attenzione: i numeri non dicono che l’Italia acchiapperà il treno della transizione ecologica, ma che esiste la capacità per farlo. E non c’è scritto da alcuna parte che quella transizione e un accelerato processo di decarbonizzazione siano destinati a produrre un bagno di sangue per imprese e lavoro. Dipenderà dalla capacità di gestire con radicalità il cambiamento, di assicurare una riconversione che produca buoni lavori, mentre ne vengono meno altri. Conterà, certo, la capacità del sistema delle imprese dell’Italia migliore. Ma, come in ogni momento di mutazione industriale e «distruzione creativa», conterà la capacità delle politiche pubbliche di rimuovere gli ostacoli alla moltiplicazione di imprese verdi, concentrando su di esse gli incentivi esistenti; utilizzando le grandi imprese pubbliche per realizzare investimenti che indichino la strada alle altre (come il Forum Disuguaglianze Diversità ha proposto da tempo); orientando la domanda pubblica per sanità, scuola, mobilità, cura del territorio; e, nell’installazione di pannelli solari e pale eoliche, costruendo spazi di confronto che consentano alla cittadinanza di orientare le scelte. E conterà la capacità di accompagnare le crisi aziendali affinché lavoratrici e lavoratori possano concorrere a costruire nuove opportunità.

 

Quale Italia sarà favorita dal governo?