L'alluvione del maggio scorso in Emilia-Romagna è un esempio eclatante delle conseguenze della crisi ambientale in atto. Niente di inaspettato. Perciò la prima cosa da fare è dare dignità ai morti nelle calamità, trasformando il lutto in impegno contro la cementificazione

Sopravvivere al collasso climatico

«L’acqua sta arrivando […] la vedo dalla finestra», erano le precise parole di sua madre, riportate da Sara Alberani in un racconto, mesi dopo l’alluvione nella sua città natale, Castel Bolognese, nella provincia di Ravenna (Nero editions, 2023). Ora me la ritrovavo davanti in un bar di Roma immerso nell’edera, seduta a mezzo metro di distanza da me, separate solo da un tavolino di ferro dove si concentrava lo spazio tra chi ha vissuto il collasso climatico e chi, ancora, se lo immagina solo, guardando fuori dalla finestra, che si avvera come un miraggio d’acqua sull’asfalto.

 

Tra il 2 e il 17 maggio 2023 l’Emilia-Romagna è stata colpita da una serie di eventi alluvionali che hanno generato allagamenti e frane in cento comuni, principalmente nelle province di Ravenna, Forlì-Cesena e Bologna. Le forti piogge, cadute in 48 ore con intensità pari quasi a quella di un anno, hanno fatto straripare 23 fiumi e torrenti, provocando così un migliaio di dissesti e frane e causando 15 morti e 36 mila sfollati. I danni stimati sono circa 9 miliardi e, a oggi, sono stati stanziati 4,3 miliardi, in tre anni; fondi che per la maggior parte non sono ancora arrivati né alle amministrazioni locali né agli abitanti colpiti. Le risorse utilizzate, sui 1,3 miliardi stanziati per il 2023, sono 378 milioni di euro.

 

L’alluvione in Emilia-Romagna è stata definita la terza peggiore catastrofe naturale globale del 2023 (Report Global Catastrophe Recap, Aon). L’alto consumo di suolo e la cementificazione hanno progressivamente limitato la capacità di assorbimento dei terreni. La grande opera di disboscamento in Emilia-Romagna, come in altre regioni italiane, ha fatto posto alle terre coltivate o edificabili. I letti dei fiumi sono stati ridotti, così come gli argini, per fare posto all’agricoltura, all’allevamento e alla cementificazione, quando questo accade l’acqua aumenta la propria velocità, corrodendo e consumando intorno a sé. Niente di oscuro o inaspettato: oggi, soprattutto in alcuni territori, ogni cronaca di un disastro climatico è la cronaca di un disastro annunciato.

 

Alberani appartiene a quella classe trasversale di sfollati climatici, alcuni di loro pagheranno il mutuo di una casa che non c’è più, altri fanno parte, più di altri, di «un mondo che non è più in vendita, e che adesso è tutta materia, senza più un valore». Sono coloro la cui memoria, negli oggetti persi e infangati, contribuisce alla creazione di un «insolito cimitero urbano».

 

Ma come si sopravvive al collasso climatico e come si elabora un lutto ambientale? In questa penisola c’è chi sa rispondere. Per molti, è già un «ricordo che risiede nel futuro», un’anticipazione di quello che verrà. Resistere contro l’avanzare del collasso climatico significa, prima di tutto, ricordare gli esseri, umani e no, che sono morti nelle alluvioni, dare dignità al lutto. Prima di dimenticare, prima di accatastare le catastrofi in una zona recondita di questo eterno contemporaneo, c’è molto da fare.

 

È impellente ripristinare le aree golenali dei fiumi, allargare gli argini e garantire aree verdi di esondanzione. Vanno realizzati parchi fluviali esondabili, a monte di ogni città e nelle aree urbane, dobbiamo bloccare il consumo di suolo contro la cementificazione e i processi dell’agro-industria sul terreno. «Forse non voglio che l’acqua si ritiri così in fretta, forse abbiamo bisogno di farle ancora più spazio» (Nero editions, 2023).

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