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Opinioni
novembre, 2023

Se vogliamo salvare il nostro pianeta dobbiamo mettere fine all'era della plastica

Iniziano i negoziati per il trattato globale plastica, la cui produzione va necessariamente tagliata per ridurre il riscaldamento globale. E no, il riciclo da solo non è sufficiente. L'analisi di Greenpeace

I dati parlano chiaro: dal 2000 al 2019 la produzione globale di plastica è raddoppiata, raggiungendo quota 460 milioni di tonnellate all’anno. Una quantità che, considerati gli impegni presi e gli interventi legislativi già approvati, dovrebbe comunque triplicare entro il 2050. Con questi numeri si prevede che la plastica prodotta consumerà circa il 13 per cento del carbon budget, ovvero la quantità di emissioni di gas serra che possiamo permetterci per contenere il riscaldamento globale al di sotto della soglia critica di 1,5°C. 

 

Di fronte a cifre che indicano una produzione ormai fuori controllo, è chiaro come l’abuso di plastica stia accelerando le tre crisi planetarie che viviamo: il cambiamento climatico, l’inquinamento e la perdita di biodiversità. A ciò si aggiungono importanti conseguenze sulla salute umana e l’amplificazione delle disuguaglianze razziali, di genere ed economiche in tutto il mondo. Mentre in Kenya inizia oggi il terzo round di negoziati internazionali per definire un Trattato globale sulla plastica sotto l’egida delle Nazioni Unite, i leader mondiali devono prendere consapevolezza che l’unico modo per affrontare questa crisi ambientale, ed evitare gli effetti peggiori dell’emergenza climatica, è stabilire regole che riducano in modo significativo la produzione. Se falliscono, perderemo tutti.

 

Se leggiamo il problema solo attraverso una lente climatica, i migliori modelli disponibili (Eunomia e Pacific Environment) ci dicono che sarà necessario tagliare del 75% la produzione di plastica entro il 2050 per contenere il suo contributo al riscaldamento globale e far sì che quest’ultimo non superi gli 1,5° C. Il Global Stocktake sui cambiamenti climatici pubblicato di recente afferma che la finestra per scongiurare il punto di non ritorno climatico si sta rapidamente chiudendo e ci indica un altro campanello d’allarme: il mondo deve fare molto di più, molto più velocemente, per proteggere la vita sulla terra. 

Fissare un obiettivo globale che preveda di ridurre la produzione di plastica di almeno il 75% entro il 2040 risponde a questa richiesta di un’azione internazionale coraggiosa. Ciò non solo aiuterà i Paesi a raggiungere gli obiettivi climatici ma creerà posti di lavoro, sbloccherà nuovi modelli di business innovativi e farà spazio a soluzioni orientate verso economie a basse emissioni, prive di sostanze tossiche e basate sul riutilizzo. Il riciclo, considerata da sempre l’unica soluzione, si è infatti dimostrato fallimentare. Solo il 9% di tutta la plastica prodotta nella storia umana è stato effettivamente riciclato. Per questo è necessario allontanarsi fin da subito da uno scenario che vede massicci investimenti verso quest’unica direzione.

 

Nella scorsa tornata di negoziati a Parigi, abbiamo visto prevalere il tornaconto delle lobby dei combustibili fossili e delle nazioni che ne assecondano gli interessi come Arabia Saudita, Russia ed Egitto. Intere giornate di stallo, trascorse a discutere di regole e procedure negoziali anziché entrare nel merito e iniziare a identificare soluzioni comuni e condivise. Del resto, non sorprende che le aziende produttrici di combustibili fossili, per le quali l’aumento della produzione di plastica è un’ancora di salvezza per perpetuare il loro business basato sull’uso di petrolio e gas, stiano utilizzando le stesse strategie messe in atto sul clima per bloccare ogni accordo ambizioso e convincere i governi a perseguire solo gli obiettivi che è già possibile realizzare. 

 

A titolo di esempio, molti dei rapporti tecnici di alto profilo destinati a informare i delegati sul trattato plastica provengono da un consulente che ha legami con l’industria del petrolio e del gas. Con un chiaro obiettivo: far fallire i negoziati per proteggere il business as usual e minimizzare la necessità di intervenire direttamente sulla produzione di plastica. 

 

I leader mondiali devono respingere questo approccio che porterà a soluzioni tutt’altro che efficaci e risolutive. Con decenni di esperienza nei negoziati sul clima, sappiamo di avere bisogno di regole che accelerino una transizione giusta, dando priorità agli interessi di quelle comunità che hanno fatto di meno per causare questa crisi, ma che stanno pagando il prezzo più alto.

 

La “Bozza Zero” (Zero Draft) del trattato, recentemente pubblicata, include l’architettura giuridica necessaria a fissare un obiettivo globale di riduzione della produzione di plastica. La tavola è apparecchiata e ciò che serve, più di ogni altra cosa, è il coraggio di essere ambiziosi. In questo contesto ci aspettiamo che anche l’Italia assuma finalmente una posizione che anteponga gli interessi di pochi a quelli della collettività. Abbandonando battaglie ideologiche e senza senso incentrate sul riciclo quale unica soluzione. Un approccio già visto nel recente dibattito europeo per l’approvazione del regolamento UE sugli imballaggi.

 

I negoziati in programma fino al prossimo 19 novembre rappresentano un’opportunità unica per risolvere la crisi in atto. Insieme a milioni di persone che in tutto il mondo si stanno attivando, possiamo ottenere un Trattato globale per porre veramente fine all’era della plastica. 

 

Giuseppe Ungherese è il responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace Italia

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