«Dire no alle basi militari per inceppare il meccanismo della guerra»

La battaglia pacifista parte dai luoghi dell’addestramento militare. Questo è "fermare l’escalation"

«Le guerre non scoppiano, si preparano», si sente ripetere da alcune voci sparse tra le cinquemila persone che il 21 ottobre si sono unite in una mobilitazione nazionale a San Piero a Grado (Pisa). Fermare l’escalation è un percorso di lotta nato nell’estate 2023 con la volontà di creare dialogo e cooperazione tra le realtà antimilitariste, il sindacalismo di base, le lotte ecologiste, studentesche e transfemministe nei vari territori. Nella costruzione del processo, la prima domanda a cui si è dovuto rispondere è stata: «Come inceppare l’infrastruttura globale della guerra partendo dal modo in cui questa opera nei nostri territori?». E ancora: «Quali sono, oltre le chiare implicazioni geopolitiche, i legami bellici con la vita di tutti i giorni? Con la precarietà, la violenza di genere e la devastazione ambientale?».

 

Il 21 ottobre è stata quindi la prima tappa di Fermare l’escalation, che ha visto, contemporaneamente anche la mobilitazione di Palermo e un corteo a Ghedi (Brescia). Nonostante la chiara opposizione nazionale e territoriale alla costruzione della base militare a Coltano (Pisa), esplicitata dalla presenza di diecimila persone alla manifestazione del 2 giugno 2022, il governo non ha abbandonato l’idea dell’hub militare, ma ha invece deciso di dividerlo tra Coltano, Pontedera e il Centro interforze studi per le applicazioni militari (Cisam). A settembre 2023 ha infatti lanciato un nuovo tavolo inter-istituzionale tra enti locali, amministrazione comunale, carabinieri ed ente del Parco naturale San Rossore, luogo protetto dove risiederebbe la base.

 

Il “Movimento No Base” considera il tavolo inter-istituzionale un tentativo di depistare e silenziare l’opposizione. Il nuovo progetto è infatti la copia di quello originario di Coltano: la differenza è il frazionamento della base militare e delle strutture annesse in tre parti, così da rendere più difficile la contestazione da parte dei movimenti. Nel progetto, la maggior parte della costruzione si concentrerebbe all’interno del Cisam, cioè in una base, in parte dismessa, della Marina. Lì, costretto dal filo spinato, c’è un bosco intorno a un reattore nucleare ancora non completamente bonificato dove sabato i manifestanti hanno aperto un varco e avanzato decine di metri, piantando nel terreno bandiere della pace e del “Movimento No Base”. La struttura si situerebbe all’interno dell’hub militare tra Pisa e Livorno, in cui, nell’arco di pochi chilometri c’è la presenza di numerosi impianti tra cui l’aeroporto militare di Pisa, il Cisam e il Camp Darby, una base sotto la responsabilità dell’Esercito Italiano dove sono stanziate e operano unità statunitensi. Camp Darby è stato aperto, in una certa segretezza, negli anni ’50, e da lì sono partite le munizioni per le operazioni nei Balcani, in Iraq e Afghanistan.

 

Nella base di Coltano si insedierebbero forze speciali dei carabinieri, nello specifico Tuscania e Gis, coinvolte in aree di conflitti strategici anche per l’industria fossile: storicamente in Somalia e in Niger, adesso in Mozambico e in Qatar e, fino a qualche settimana fa, in Cisgiordania. Bloccare la filiera della guerra, partendo dai luoghi di produzione e addestramento è imperativo morale per chiunque abbia il coraggio di immaginare tempi di pace. L’invasione della base a Pisa da parte di centinaia di persone significa costruire, centimetro per centimetro, una pace reale: unitə contro la guerra, le armi e il fossile.

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