Come noi umani, provano emozioni e hanno diritto alla vita. Perciò vanno tutelati da crudeltà arbitrarie come quella dell'allevamento intensivo. E sempre più persone partecipano ai movimenti di lotta in loro difesa

Gli allevamenti intensivi, l’alterazione di ecosistemi, l’antropizzazione degli habitat sollevano questioni etiche nei confronti degli animali che non possiamo più ignorare. Abbiamo una responsabilità collettiva ancora più evidente, dopo le ultime conquiste scientifiche che dimostrano come gli animali non siano automi privi di una visione del mondo. Provano emozioni, apprendono comportamenti e hanno forme di percezione a volte più evolute delle nostre. Aristotele sosteneva che i fini di ogni entità vivente sono la vita e la fioritura. Nessuna creatura esiste in funzione di altre specie. Ciascun individuo è un fine e non può essere usato come mezzo. Il peccato originale filosofico è quello di considerare gli animali come mezzi inanimati a nostra disposizione.

 

Questa considerazione apre a riflessioni, azioni e impegni nuovi, che stanno coinvolgendo anche nel nostro Paese tante persone e realtà sociali che si battono per il riconoscimento dei diritti degli animali. E che stanno generando grande partecipazione. Come la Rete dei Santuari, che mette insieme tutti i rifugi che accolgono animali sottratti alla “politica di dominio”. Chiedono giustizia per la strage dei nove maiali del Rifugio Cuori Liberi, avvenuta il 20 settembre scorso nel Pavese, a Sairano, e per il pestaggio perpetrato dalla polizia nei confronti degli attivisti che coraggiosamente hanno tentato di difenderli.

 

Perché? Perché quei maiali, uccisi per scongiurare la diffusione della peste suina degli allevamenti intensivi vicini, in realtà stavano bene e non erano pericolosi. Si poteva e si doveva intervenire diversamente. Perché i santuari ospitano animali al di fuori delle logiche di sfruttamento e va loro applicato un protocollo diverso in caso di emergenza sanitaria, essendo riconosciuti come rifugi permanenti e non allevamenti. Per chiedere giustizia per gli animali e per portare avanti la richiesta di protocolli specifici per la gestione della peste suina nei rifugi, la Rete dei Santuari ha promosso due manifestazioni che hanno coinvolto 10 mila persone a Milano, lo scorso 7 ottobre, e altrettante a Roma, il 18 novembre. Tantissimi i giovani da ogni parte del Paese.

 

Il sostegno e l’empatia verso la Rete dei Santuari sono più grandi di quello che immaginiamo e sollevano questioni politiche rilevanti perché interrogano la nostra idea di civiltà e rafforzano la necessità di un cambiamento culturale profondo per affrontare e risolvere i problemi posti da un modello economico ormai insostenibile, violento e inemendabile. I rifugi svolgono una funzione sociale diametralmente opposta agli allevamenti: dare cura e ospitalità ad animali salvati da un triste destino e formare attivisti e attiviste alla cultura antispecista. Sono luoghi di liberazione, resistenza e riscatto che rappresentano la lotta di una parte ampia di società civile contro lo sfruttamento sistematico di decine di migliaia di animali sacrificati nei macelli e nei laboratori solo per il profitto.

 

Abbiamo urgente bisogno di una diversa convivenza con le altre specie. Come noi, hanno diritto alla vita. Ciò che è successo a Sairano non deve succedere mai più. Perché un animale non umano che pensa e apprezza la vita come noi animali umani dev’essere tutelato dalla legge contro le crudeltà arbitrarie. È una questione etica e politica. Un Paese in cui tante persone sono disposte a battersi per affermare che «ogni vita vale» ha ancora un domani.