La maggior parte delle nostre aziende ha dimensioni medio-piccole. Ma le sfide del futuro, dalla transizione ecologica al Pnrr, richiedono una ristrutturazione del tessuto industriale. In cui è necessario anche l'intervento dello Stato

Le imprese manifatturiere e quelle delle costruzioni, in Italia, sono in prevalenza di modeste dimensioni. Per affrontare le sfide della transizione green, della digitalizzazione e dell’intelligenza artificiale, unitamente all’attuazione del Pnrr, devono superare la formula organizzativa in cui hanno finito per cristallizzarsi. Manca oggi una spinta propulsiva in grado di sollecitare “una voglia del fare” che invece caratterizzò l’industrializzazione del nostro Paese dopo la seconda guerra mondiale. Dalle ceneri risorse un Paese nuovo, dinamico, con politiche pubbliche finalizzate a questo obiettivo.

 

La grande trasformazione, per garantire la partecipazione alle catene globali del valore, richiede il superamento dell’organizzazione attuale, costituita da un tessuto prevalente di piccole e medie imprese e segnata dallo sfarinamento delle grandi industrie private, in primo luogo della ex Fiat.

 

La rivoluzionaria innovazione nel produrre beni e servizi implica, dunque, la ristrutturazione dell’apparato produttivo esistente. Basti pensare che il 99 per cento delle società italiane ha un fatturato inferiore a 30 milioni di euro, che 9 mila hanno un fatturato entro i 100 milioni e solo 4 mila oltre i 100 milioni. I massicci investimenti, l’innovazione tecnologica e le professionalità degli operatori non possono prescindere dalla crescita della dimensione aziendale delle imprese minori, sostenuta da congrui immissioni di capitale fresco.

 

In Italia, la concentrazione e l’aggregazione delle imprese dovrà essere il primo passo di una strategia industriale funzionale alla crescita del sistema economico, anche per garantire congiuntamente l’incremento della produttività e delle retribuzioni, oggi tra le più basse d’Europa. È un processo che richiede sia l’elevazione culturale delle nostre imprese sia la mobilitazione di ingenti masse critiche di risparmio finanziario privato.

 

Spetta al governo costruire le condizioni per fare in modo che quelle imprese possano esprimere il loro potenziale attraverso l’individuazione di una nuova strategia industriale e degli strumenti da impegnare.

 

I fondi di investimento mobiliare, articolati territorialmente, promossi dalla Cassa Depositi e Prestiti, sostenuti dalle fondazioni bancarie, dalle banche quotate, dai fondi di investimento del risparmio e dalle grandi imprese sono lo strumento ad hoc per attivare il capitale fresco, necessario a favorire le fusioni tra le imprese minori e le aggregazioni societarie in forme consortili strutturate. Lo Stato imprenditore – quale soggetto promotore di questo grande processo – necessita della proattività di tutte le società caratterizzate da maggiore dimensione, che hanno vissuto, vivono e prosperano grazie all’esistenza dell’esternalizzazione di tante attività alle piccole e medie imprese.

 

Solo imprese con dimensioni aziendali ottimali, opportunamente capitalizzate, potranno conseguire livelli di flussi di cassa tali da assorbire gli oneri degli investimenti. Appare questa l’unica via per accrescere la fiducia delle piccole e medie imprese nel fare un passo che, spesso, a loro appare più lungo della gamba.