Resistenti
Amazon sul clima promette e non mantiene: le emissioni crescono del 40 per cento
Una campagna mondiale chiede di ridurre l’impatto sul clima e di rispettare i diritti sindacali
"Il mondo prima che arrivassi te”, cantavano i Tre Allegri Ragazzi Morti nel 2007. Nel frattempo, Amazon lanciava i servizi di “Amazon Prime”, “Kindle”. Alcuni di noi hanno avuto il ruolo di definire un “prima” e un “dopo” nella vita di qualcun altro. Nel mercato globale, Amazon ha indubbiamente tracciato un “prima” e un “dopo”, anche se, come in un trauma collettivo, quel prima è ora confuso e indefinito nei nostri ricordi, in una specie di effetto Mandela. Ormai lo spirito del Natale inizia a brulicare già nel quarto venerdì di novembre, conosciuto in diversi Paesi del mondo come “Black Friday”.
La ricorrenza obbliga a una riflessione sul sovra-consumo e i salari bassi. In questa data, il 24 novembre, quest’anno ci sono state decine di mobilitazioni all’interno della campagna Make Amazon pay, lanciata da Uni global union e Progressive international. Lo sciopero è stato portato avanti in diverse città del mondo tra cui Tokyo, Vancouver, Amsterdam, Città del Capo e Francoforte. La campagna chiede ad Amazon di ridurre il suo impatto sul clima, di rispettare i diritti sindacali e di pagare le tasse, riunendo oltre 80 organizzazioni, 400 parlamentari e decine di migliaia di sostenitori in tutto il mondo. A Seattle, nel 2019, migliaia di lavoratori chiesero ad Amazon di impegnarsi per il clima. Due dei leader di quel pressure group per il clima furono licenziati. Amazon fu però obbligato, per la prima volta, a dichiarare la sua reale impronta sul clima e firmò il “Climate Pledge”, la “promessa sul clima”. Da allora le emissioni di Amazon sono aumentate del 40% (The Verge, 2022).
Negli anni, l’azienda ha finanziato il negazionismo climatico: istituzionale, in casi come il Competitive Enterprise Institute, e politico, come nel caso dello statunitense Inhofe. Amazon emette più CO2 della Svizzera, di Hong Kong e della Danimarca. L’azienda ha anche collaborato con il governo israeliano nel Project Nimbus, da 1,2 miliardi di dollari, consentendo un’ulteriore sorveglianza dei palestinesi e la raccolta illegale di dati su di loro per facilitare l'espansione degli insediamenti israeliani.
Nel 2022, è trapelata l’app di messaggistica interna proposta da Amazon che prevedeva di bloccare parole come «sindacato», «salario minimo», «libertà», «aumento di stipendio» o altre frasi che indicano l’infelicità dei lavoratori (The Intercept, 2022). I magazzinieri di Amazon devono soddisfare il 100% degli standard di produttività e sono soggetti al licenziamento dopo un primo avvertimento.
L’azienda discrimina le lavoratrici incinte non rispettando, per esempio, le restrizioni sul peso degli articoli che devono trasportare. Non a caso, infatti, il tasso di infortuni gravi nei magazzini Amazon nel 2021 è più del doppio rispetto ai magazzini dei concorrenti. Inoltre, l’azienda stessa ha ammesso i problemi degli autisti costretti a urinare e defecare nei furgoni a causa della pressione per il raggiungimento delle quote. Immaginare un mondo senza Amazon inizia da una campagna globale per la giustizia climatica, fiscale e sindacale. Alla fine della campagna però rimane un grande vuoto, di un passato che non esiste più. La volontà per un mondo migliore non deve però incepparsi nella nostalgia di quello che è stato, perdendosi così in fantasie di primitivismo, deve trarre da quella nostalgia la facoltà di ricostruire qualcosa che in effetti era un po’ più bello.