Oltre alla violenza, il problema è anche il rispetto della parità di genere in vari ambiti. Dalla salute alla professione. E, in termini di partecipazione e qualità dell’occupazione, siamo in coda a tutti e 27 i Paesi dell’Ue

La tragica vicenda di Giulia Cecchettin e, in generale, l’inaccettabile frequenza dei femminicidi in Italia ha riacceso l’attenzione dell’opinione pubblica sulla violenza sulle donne. Un aspetto della questione che mi sembra rilevante è anche la misura in cui la persistente discriminazione sociale ed economica nel nostro Paese causi una dipendenza delle donne rispetto ai loro compagni, che rende più difficile interrompere relazioni che dovrebbero esserlo da tempo, esponendole a maggiori rischi.

 

Per verificare lo stato attuale della discriminazione a sfavore delle donne volevo consultare l’ultimo “Bilancio di Genere” (e relativa Relazione al Parlamento), la pubblicazione annuale dedicata a questo tema dal ministero dell’Economia. Purtroppo l’ultimo volume disponibile è quello relativo al 2021. Mi dicono che il successivo, in ritardo, dovrebbe essere pubblicato presto, una volta ultimata la riforma nel suo formato prevista dal Pnrr. Riporto quindi le informazioni più recenti pubblicate dallo European Institute for Gender Equality (Eige), un’istituzione dell’Unione europea creata per monitorare gli sviluppi nella parità di genere nell’Unione. Il quadro è deludente.

 

Nonostante i progressi degli ultimi anni, l’indice di uguaglianza di genere dell’Eige ci vede al tredicesimo posto su 27 Paesi. Si potrebbe dire che siamo in posizione intermedia. Ma tra i Paesi con cui ci dovremmo confrontare, quelli più avanzati dell’Europa Occidentale, siamo agli ultimi posti. Facciamo meglio, e di poco, solo rispetto a Grecia, Portogallo, Cipro e Malta, mentre ci sopravanza, tra i Paesi dell’Est, la Slovenia. Tra i Paesi del Sud Europa stiamo nettamente indietro rispetto alla Spagna che è al quarto posto in classifica generale dopo Svezia, Danimarca e Olanda.

 

L’indice è composto da sei sotto-indici relativi a lavoro, risorse economiche, conoscenza, tempo (ossia la condivisione con gli uomini di attività sociali e di assistenza), potere (economico e politico) e salute. Ci salviamo, nel limitato senso che siamo al nono posto, solo per la salute. Ma siamo gli ultimi tra tutti i 27 Paesi dell’Unione per il lavoro, in termini di partecipazione al mondo del lavoro e di qualità del lavoro svolto. E, in quest’area, siamo all’ultimo posto da quando esiste la rilevazione, ossia dal 2010. Per le altre dimensioni siamo in posizione intermedia (al quattordicesimo posto per le risorse economiche, al tredicesimo posto per la conoscenza, al dodicesimo posto per il tempo e per il potere), ma indietro rispetto ai Paesi dell’Europa Occidentale, come per indice generale.

 

Di positivo possiamo dire che dal 2010, in quasi tutte le aree, abbiamo migliorato il punteggio più rapidamente degli altri Paesi, tanto che la nostra posizione in classifica generale ora è salita (il divario rispetto alla media europea era di 10 punti nel 2010 e ora è di 2 punti). Ma il miglioramento è stato limitato per il lavoro, le risorse finanziarie e la salute, mentre è stato molto forte per la condivisione del potere economico e politico. Il che suggerisce che miglioramenti ci sono stati per una ristretta élite di partecipanti ai vertici del potere, mentre per la maggior parte delle donne la situazione non è cambiata molto.

 

Concludo con l’auspicio che la pubblicazione del bilancio di genere non sia ritardata ulteriormente e che trovi, una volta giunta in Parlamento, un adeguato tempo per la sua discussione.