Facciamo eco

Reddito minimo, il governo Meloni mostra disprezzo per i poveri

di Giuseppe De Marzo   30 marzo 2023

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Mentre l’Ue inizia a muoversi sulle misure di sostegno che garantiscano un tenore di vita dignitoso, in Italia il dibattito è inquinato dall’ipocrisia. Le politiche dell’esecutivo mirano, in realtà, solo a creare manodopera a basso costo

«Un reddito minimo obbligatorio per tutti gli Stati membri che sia al di sopra della soglia di rischio di povertà e di esclusione sociale». Questo è quanto chiede la risoluzione del Parlamento europeo approvata lo scorso 15 marzo, su raccomandazione della Commissione europea. Non si tratta di migliorare le politiche di contrasto alla povertà aumentando il peso degli assegni o allargando la platea degli aventi diritto. Il Parlamento, approvando un emendamento presentato dal gruppo dei socialisti, chiede l’istituzione di una direttiva ad hoc che, qualora fosse varata, renderebbe obbligatorio il reddito minimo garantito.

Mentre il governo Meloni si appresta a buttare per strada più di 600 mila persone, a cui verrà sospeso da agosto il reddito di cittadinanza, e taglia il contributo a 350 euro per gli occupabili, scopriamo dal dibattito europeo sul «diritto al reddito» che le cose sono molto diverse da come vengono raccontate.

La Ue ha stabilito che tutti i regimi di reddito devono avere «un livello adeguato di sostegno che tenga conto della soglia nazionale di rischio povertà per cercare di creare un sistema che garantisca un tenore di vita dignitoso». Non un assegno standard ovunque, ma una somma che corrisponda al 60 per cento del reddito disponibile mediano nazionale equivalente dopo i trasferimenti sociali. Questo stabilisce il testo del Parlamento europeo.

Nel caso italiano, facendo riferimento ai dati Eurostat, il 60% del reddito disponibile mediano ammonta a circa 10.500 euro l’anno. Per capirci: se la direttiva fosse già in vigore, il governo italiano dovrebbe garantire un assegno che potrebbe variare da 550 a 875 euro al mese. Una somma decisamente più alta della Mia (misura di inclusione attiva) introdotta dal governo Meloni in sostituzione del RdC. La Mia escluderà un terzo della platea dei beneficiari, quasi dimezza l’importo, riduce l’erogazione a un massimo di 12 mesi anziché 18 e introduce l’assistenza a singhiozzo: una cosa mai vista.

La richiesta del Pe smaschera l’arretratezza e l’ipocrisia del dibattito italiano, più interessato a rendere occupabili a ogni costo i poveri e a garantire “braccia” da sfruttare sul mercato a costi molto bassi. Non voler introdurre il salario minimo legale è parte di questa strategia che rende ancora più ricattabili e impoveriti i lavoratori. Il vero obiettivo del governo è quello di liberare manodopera a basso costo. La favola dei giovani sul divano e dei furbetti del reddito è molto lontana dalla realtà. La stragrande maggioranza degli occupati con reddito di cittadinanza svolge attività con competenze definite dall’Anpal come basse o medio basse. Per queste persone il reddito di cittadinanza costituisce quindi un’integrazione fondamentale per non scivolare in una condizione di povertà.

Meloni definì il RdC «metadone di Stato», mostrando non solo tutto il suo disprezzo verso i poveri, ma la sua inadeguatezza rispetto agli obblighi della nostra Costituzione. Che indica come priorità della Repubblica l’intangibilità della dignità umana.

Nell’ultimo vertice tenutosi a Porto, la Ue, incontrando le parti sociali e la società civile, si è impegnata a ridurre entro il 2030 il numero di persone che vivono in condizioni di povertà di almeno 15 milioni, compresi cinque milioni di bambini. Un impegno che arriva dopo aver fallito l’obiettivo precedente: ridurre di 20 milioni le persone in povertà entro il 2020. Per evitare l’ennesimo fallimento ci vuole anche in Italia un reddito minimo garantito e un dibattito serio della nostra classe dirigente. Facciamo Eco!