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La Camera torna ad assumere ma ora la sfida è sui costi

di Virman Cusenza   14 aprile 2023

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Dopo cinque anni durante i quali sono stati bloccati i concorsi, si vuole ripristinare la normalità. E cercare di restare nel budget

A Montecitorio 380 nuovi arruolati e 300 in pensione. La Camera assume. Di per sé una buona notizia. Dopo 5 anni di blocco dei pensionamenti e di concorsi sospesi, si torna alla normalità. Già, perché mentre impazzava il diluvio dell’antipolitica e si procedeva a sfoltire i ranghi, fino al taglio dei 230 deputati (oltre ai 200 senatori), la macchina amministrativa si riduceva progressivamente. Fino a passare dall’assai nutrito organico di 1.809 dipendenti del 2007 ai 1.013 del 2020. Praticamente dimezzati. Erano troppi? S’era esagerato in passato con le assunzioni? Probabile, ma l’aver portato in 13 anni la scure fino al 44,9% in meno dell’organico non è il trionfo della razionalità.

L’obiettivo dovrebbe essere una macchina efficiente che garantisca la migliore qualità possibile delle leggi. Senza sprechi, in teoria. Così, nell’ultimo Ufficio di presidenza di Montecitorio, si è ultimato un massiccio piano di concorsi che, tra quelli tenuti tra il 2021-23 e quelli previsti entro l’anno prossimo, porterà a 380 nuove assunzioni, così ripartite: 10 consiglieri parlamentari, specializzati in informatica; 17 consiglieri di professionalità generale; 6 consiglieri specializzati in architettura e ingegneria; 49 assistenti parlamentari; 102 segretari tra gli 80 già entrati in servizio e i 22 attesi per il prossimo ottobre; 23 tecnici informatici dal primo maggio; 10 tecnici e 65 documentaristi per i quali è in atto un concorso. A questi si aggiungeranno altre 90-100 assunzioni con un bando entro marzo 2024. È il risultato del blocco del turnover durato praticamente 15 anni.

Le conseguenze sono tangibili in materia di pensionamenti: dall’inizio di quest’anno sono usciti 196 dipendenti. E si rischia l’ingorgo con altre cento domande pendenti. Per un totale di 300 messi a riposo. Fatti i conti, tra i 380 ingressi e i 300 in uscita, il saldo è di 80. In sostanza, dalla carica dei 1.839 del 2007, passeremo l’anno prossimo a quota 1.090.

L’obiettivo è sincronizzare i tempi, evitando vuoti d’organico. E poi svecchiare l’età media: oltre 52 anni. Nonché adeguare le competenze, passando dalla formazione novecentesca della burocrazia alle esigenze di un sistema digitale.

Ma c’è un dirimente nodo da sciogliere: i costi. E una contraddizione che l’accumularsi di scelte schizofreniche da parte della politica rischia di creare. Innanzi tutto, i tanto sbandierati 300 milioni all’anno di risparmi dal taglio dei parlamentari sono già andati in fumo per l’aumento dei costi (rincari energetici, costo del lavoro, pensioni e liquidazioni degli ex parlamentari, collaboratori dei deputati adesso pagati direttamente da Montecitorio). I fondi per i pur dimagriti gruppi parlamentari sono rimasti di 30,9 milioni, con l’obiezione che la struttura di supporto non può essere ridotta, se si vuole garantirne l’efficienza.

Anzi - è l’obiezione dei vertici di Montecitorio - si sarebbe dovuta migliorare la qualità dei servizi ai deputati per compensare il gap dei collegi più ampi e garantire che, in un Parlamento ridotto, ci sia maggiore capacità di legiferare.

Ora, a fronte di una dotazione finanziaria invariata a 943 milioni fino al 2025 e con l’effetto inflazione, fatte le assunzioni, riusciranno i nostri eroi a contenere i costi e a restare nel budget? Di sicuro, senza il taglio dei parlamentari, il conto finale sarebbe stato assai più salato.