Giustizia

Le "pagelle" ai magistrati sono solo un altro passo per controllare la Giustizia

di Dario Raffone   13 settembre 2023

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Magistrati

La valutazione dei giudici, sulla base della tenuta delle decisioni nei gradi successivi, solleva la Cassazione dal peso dell’esame. Ma pone una questione di tenuta ed efficacia del sistema

Sono poche le cose che, in Italia, mantengono una costante presenza. Una di queste è l’inesausta proliferazione di riforme in tema di giustizia. Le cronache estive ci informano che sarebbe stato licenziato dalla commissione di esperti ministeriali la bozza del decreto delegato in tema di riforma dell’ordinamento giudiziario voluta dall’ex guardasigilli Marta Cartabia e coltivata anche da quello attuale.

 

Apprendiamo così dell’introduzione di una sconvolgente novità: «Il fascicolo del magistrato», finalizzato alla valutazione e alla conferma nel ruolo dei singoli giudici. Valutazione basata sulla conferma o no, nei gradi superiori, dei provvedimenti emessi. Non è chiaro poi come dovrebbero essere valutati i magistrati della Cassazione. Che nella realtà delle migliaia di provvedimenti emessi ogni giorno dai magistrati ordinari nelle aule di giustizia ve ne possano essere alcuni frutto di inadeguatezze, superficialità, errori è cosa intuitivamente innegabile, se non altro per la legge dei grandi numeri. Allo stesso modo in cui ciò avviene per i provvedimenti di altri giudici, quali quelli amministrativi, unti dal crisma dell’intoccabilità a dispetto di ogni verifica, o anche, più in generale, per qualsiasi altra attività umana.

 

L’occasione consente, però, di svolgere qualche rapida riflessione. Il nostro sistema, a differenza di quelli anglosassoni, non si basa sulla cogenza del precedente giudiziario in termini, sul cosiddetto stare decisis. Ciò è conseguenza del fatto che il giudice italiano non è, a differenza di altri, dotato di capacità legislativa. Dal momento che la realtà della vita quotidiana, non si presta, nella sua poliedricità, a essere rigidamente incasellata nelle astratte previsioni di legge, è necessaria una attività adeguatrice che implica una continua osmosi tra le giurisprudenze di merito e quella della Cassazione. Infatti, una giurisprudenza fatta di decisioni tutte e sempre coerenti con gli orientamenti della Cassazione impedirebbe a quest’ultima di cogliere i cambiamenti sociali in atto, di adeguarvisi e di svolgere la sua dinamica funzione uniformatrice del diritto nazionale. È evidente il rischio di interventi normativi che, pur se paludati da asserita moderazione (solo in casi gravi, ripetuti, ecc.), finiscono per essere delle norme manifesto, degli spauracchi che inducono alla quieta remissività, alla torsione di un’attività alquanto delicata, quale è quella del giudicare, in una pratica amministrativa standardizzata, da smaltire nel più breve tempo possibile.

 

E, a proposito del tempo di definizione dei processi, è intuitivo che un conto è operare in grandi uffici dove i carichi sono sicuramente gestibili, come accade a esempio a Milano, e un conto è operare in ufficio di provincia, specialmente al Sud, come Napoli Nord, con bacino di utenza di un milione di abitanti e un carico di lavoro pari al  triplo per ogni singolo giudice.  E dove il rischio di ritardi sanzionabili è dietro l’angolo.

 

Sono temi che implicherebbero decisioni vere, sgradite a molti, elettoralmente poco remunerative. Meglio, quindi, adagiarsi su manifestini propagandistici inutili. Anche perché, grazie ad un sapiente e consolidato utilizzo terroristico dello strumento delle sanzioni disciplinari, specie nei confronti delle giovani leve di magistrati (la maggioranza), l’addomesticamento è già, in atto. Complice anche l’Anm e i suoi mandatari del Csm che, da molti anni, sostengono i dettami dell’efficienza e del merito e che si stracciano oggi le vesti per riforme che sono, in fondo, conformi a un clima culturale del quale anche loro sono in parte responsabili.

 

Dario Raffone è l'ex presidente del Tribunale delle imprese di Napoli