Pane al pane
«I Brics crescono. Mentre il declino dei Grandi del mondo sembra inevitabile»
La popolazione e la produttività aumentano negli Stati emergenti. Che vanno più veloci dei G7, alle prese con cali demografici, problemi di Pil e rallentamento del progresso tecnologico. Così, ora, le alleanze tra Paesi si fanno in nome di interessi comuni
Si è concluso giorni fa il vertice dei leader dei G20, i venti principali Paesi al mondo. Un po’ prima si era tenuto il vertice dei Brics, i principali Paesi emergenti, Brasile, Russia, India, Cina e, da poco, Sud Africa, intorno ai quali ruota un insieme di altri Paesi in via di sviluppo. Questi vertici stimolano alcune riflessioni su dove il mondo sta andando.
Partiamo dai G20. Il massimo che si può dire è che è meglio che questi vertici ci siano piuttosto che non ci siano. È però evidente che il ruolo dei G20 si è molto ridotto negli ultimi anni. Per la prima volta il leader di una delle due superpotenze (Xi Jinping) non ha partecipato. Si è temuto di non poter raggiungere un accordo sul testo del comunicato finale e quest’ultimo contiene ben pochi nuovi impegni chiari. Basti in proposito leggere i paragrafi 32-34 sul riscaldamento globale, di una vaghezza impressionante. Si potrà dire che questi comunicati si limitano sempre a conclusioni che potrebbero competere in concretezza con le dichiarazioni delle partecipanti a Miss Universo. Ma quindici anni fa, in occasione della crisi economica globale i G20 raggiunsero precisi impegni su cosa i singoli Paesi dovessero fare. Ora non più.
Il mondo si sta quindi sempre più distaccando da quell’anelito di multilateralismo che dopo la Seconda guerra mondiale aveva visto nascere le principali organizzazioni internazionali, dalle Nazioni Unite al Fondo Monetario Internazionale. I Paesi si stanno invece raggruppando intorno a interessi che sono considerati tra loro più simili. In particolare, la contrapposizione tra Paesi “ricchi”, raccolti intorno ai G7, e Paesi “emergenti”, raccolti intorno ai Brics, si sta facendo più evidente.
Sono varie le ragioni di questa tendenza, ma una delle principali è che i Brics hanno enormemente aumentato la loro potenza economica e vogliono far sentire più chiaramente la loro voce. Secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, il Pil dei 5 Brics, a parità di potere d’acquisto (cioè tenendo conto del fatto che i prezzi sono più bassi nei Paesi meno ricchi, e quindi approssimando un confronto in termini reali e non di redditi nominali), è ormai più alto di quello dei G7 (circa 55 trilioni di dollari contro 52 trilioni). E il divario continuerà probabilmente ad accentuarsi, semplicemente per una questione di numeri. La popolazione dei Brics è di circa 3 miliardi 200 milioni, contro meno di 800 milioni nei G7.
Negli ultimi secoli questi ultimi hanno mantenuto una leadership politica ed economica mondiale per la maggiore crescita della produttività grazie allo sviluppo tecnologico. Ma anche nei Paesi più avanzati dei G7, come gli Stati Uniti, il progresso tecnologico sta rallentando: il tasso di crescita della “produttività totale dei fattori” nell’ultimo quarto di secolo è stato solo dello 0,4%, il livello più basso degli ultimi due secoli. Nei Brics la produttività cresce invece ancora a ritmi elevati non tanto perché questi Paesi sviluppino le loro tecnologie più rapidamente, ma perché sono ancora nella fase in cui la forza lavoro si sposta da settori a bassa produttività (agricoltura) a settori a più alta produttività.
A meno che i G7 riescano in qualche modo ad accelerare la loro capacità di innovare, come avvenuto in passato, il loro destino geopolitico è segnato.