Facciamo Eco
«Crisi climatica e virus vanno di pari passo. Ma dalla pandemia non abbiamo imparato nulla»
Continuiamo a pensarci sani in un mondo malato. Le infezioni sono una delle minacce più grandi per un Pianeta che convive con le conseguenze dell’aumento della temperatura. Per salvarci serve proteggere la natura, la politica agisca
Si rivedono le mascherine, mentre la scienza torna a metterci in guardia sulla relazione tra collasso climatico e pandemie. Aveva ragione Churchill, la peggiore crisi è quella che non si è compresa. Continuiamo a pensare di essere sani in un mondo malato. La nostra salute è invece direttamente collegata con quella della Terra. Se garantiamo la conservazione dell’integrità biologica abbiamo molte più possibilità di prevenire le pandemie, «perché collasso climatico, consumo di suolo, inquinamento e virus come il Covid-19 sono legati a filo doppio».
Ce l’ha ricordato l’Unesco il 22 maggio del 2020, ma ci aveva messo in guarda anche l’Oms nel 2007. Le infezioni virali, batteriche o da parassiti sono una delle minacce più consistenti per un Pianeta che deve convivere con le conseguenze provocate dall’aumento della temperatura. L’alterazione dei processi di trasmissione di patologie come il coronavirus è infatti una delle dirette conseguenze dei cambiamenti climatici. L’Oms non ha lasciato spazio a dubbi. Eppure la politica continua a non prestare ascolto.
Collasso climatico, urbanizzazione selvaggia, alterazione di molti ecosistemi, inquinamento, commercio internazionale di animali, consumo di suolo e allevamenti intensivi stanno continuando a modificare l’ambiente. Questi fattori stanno costringendo molte specie di animali (prevalentemente selvatici) a migrazioni. L’adattamento a un nuovo clima e il successivo adattamento del patogeno hanno come conseguenza una maggiore diffusione territoriale del virus. Dagli anni ’70 sono apparse nuove patologie al ritmo di una all’anno. Interdipendenza e connessione forniscono tantissime opportunità per la diffusione delle patologie a una velocità mai verificatasi prima.
Oggi sappiamo che una persona su cinque nel mondo abita in aree con rischio “spillover” molto alto. Le cosiddette zone di salto sono in aumento perché continuiamo a ridurre lo spazio bioriproduttivo a tutte le altre entità viventi. Invadere, ad esempio, le terre dei pipistrelli, distruggere selve e caverne, è rischiosissimo, essendo questi animali veri e propri serbatoi di patogeni. Sono stati cancellati 9 milioni di chilometri quadrati di foreste in 113 Paesi diversi, secondo l’indagine condotta dalla Reuters. Le aree a rischio coincidono con quelle dove è diminuita la copertura arborea.
Durante la pandemia ci è stato raccontato che niente sarebbe stato come prima. Perché era la «normalità» di un sistema economico insostenibile e dalle conseguenze catastrofiche all’origine dei nostri problemi. E invece non è cambiato nulla, anzi. Il ritorno alla normalità patriarcale, coloniale e tecno-capitalista sta esponendo la specie umana a rischi ancora maggiori. Con buona pace del Salvini o della Meloni di turno, non basteranno i 40 mila chilometri di filo spinato e muri a frenare la velocità dei nuovi virus.
La vera emergenza, quindi, non è la pandemia ma la febbre del Pianeta causata da un modello produttivo ed estrattivo che ha tra le sue conseguenze catastrofiche anche l’alterazione dei processi di trasmissione di malattie infettive. Proteggerci da questo immane pericolo significa concretamente riconvertire la nostra economia e cambiare il nostro approccio culturale, riconoscendo diritti alla natura per salvaguardare i nostri. Una rivoluzione culturale necessaria e urgente che ha bisogno di un’altra politica.