La vicenda De Angelis mostra che sulle posizioni antisemite non basta una semplice retromarcia. Ma non tutti gli elementi delle proprie biografie politiche devono essere rimossi

Le dimissioni di Marcello De Angelis dall’incarico di responsabile della comunicazione del presidente Francesco Rocca alla Regione Lazio sono sembrate a me inevitabili e giuste. Ancora fino a un anno fa, De Angelis ha riproposto alcune parole e alcuni testi dall’inequivocabile natura razzista e antisemita. Precisamente: gli ebrei definiti come «una razza di mercanti che stuprano le donne», che «gridano Shalom bruciandoci le case, cantano pace e ci violentano le donne».

 

Si possono più o meno rivendicare o smentire le convinzioni del nostro passato. Ma su questo argomento specifico non basta una semplice correzione; soprattutto quando il disprezzo te lo sei portato dentro tutta una vita. Ricordo che durante il governo di Roma di Francesco Rutelli, un sindaco straordinario e democratico, il Consiglio comunale discusse sulla proposta della giunta di intitolare un luogo della città a Giuseppe Bottai, figura importante e controversa del fascismo. Il quale, tuttavia, era stato nel 1938 uno dei protagonisti e degli esecutori delle infami leggi razziali. La comunità ebraica di Roma, vittima di rastrellamenti e persecuzioni, si sollevò. Si sentì offesa e ferita. Rutelli, profondamente amico di Israele e beniamino della stessa comunità, si aprì a una discussione diretta, come era abituato a fare. Niente; gli animi non si sopirono. Allora, in Consiglio comunale, come capogruppo del Pds, mi assunsi la responsabilità di oppormi al provvedimento.

 

Dissi: «Possiamo discutere per mesi nel merito di cosa sia giusto e cosa sia sbagliato nell’idea di intitolare una strada a Giuseppe Bottai. È successo qualcosa di nuovo, che non ci dà nessun ulteriore spazio per l’incertezza. La comunità ebraica di Roma ci ha detto apertamente che la nostra intenzione arreca una ferita indelebile al suo corpo vivo. Non siamo più di fronte a una scelta sull’opportunità o meno. No. Siamo di fronte a un macigno insormontabile: la comunità ebraica porta con sé qualche cosa di sacro e una memoria di infinita sofferenza. Se si dice ferita, questo è il solo merito che conta. Il confronto si chiude qui. Di fronte al genocidio del Novecento, il sentimento delle vittime fa premio su ogni altra ragione».

 

La delibera fu poi ritirata. Ecco perché Rocca, pressato dall’opposizione, ha fatto bene a chiudere la discussione sul suo dirigente. Questo non deve significare, su altri aspetti non coinvolgenti l’antisemitismo, azzerare nella politica di oggi le biografie, le storie, le esperienze anche terribili delle generazioni che ci stanno alle spalle. Di destra e di sinistra. Per cui diventa legittimo solo chi si presenta sulla scena senza passato; perfettamente coincidente ai dettami uniformi e dominanti. Atlantismo spinto, europeismo debole, liberismo, idolatria dei mercati, tagli agli sprechi (Stato sociale), difesa delle banche e della finanza, esaltazione dell’individualismo. Una sorta di tabula rasa, che azzeri gli aspetti cattivi, ma anche quelli straordinariamente ricchi che ognuno porta con sé.