Belle Storie

«Mi hanno stuprata. Li ho denunciati, ma ho dovuto lasciare casa mia»

di Francesca Barra   5 settembre 2023

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Anna Maria Scarfò ha fatto condannare i suoi aguzzini ed è stata tutelata dallo Stato. Eppure è dovuta andare via dal suo paese perché considerata colpevole di "essersela cercata"

«Mi hanno stuprata dodici uomini, per tre anni, quando ne avevo 13: mi hanno distrutto la vita. Ho denunciato e sono stati tutti condannati, ma sono stata io a dover lasciare il mio paese per sempre. Era il 1999 e oggi sono adulta, sono mamma, ma ogni volta che ascolto un caso di cronaca, come quello della ragazza violentata a Palermo, a cui va tutta la mia vicinanza, mi rivedo nelle vittime, rivivo ogni cosa. Sento che non c’è giustizia perché chi ha subito paga per una vita intera e loro sono fuori troppo presto per rendersi conto di ciò che hanno fatto. Noi donne che denunciamo siamo forti e ci spronano a essere coraggiose, ma dobbiamo fare i conti con la realtà, l’omertà, le accuse miserabili di “essercela cercata”. Ma io non cerco vendetta, non sono come loro ed è l’unica cosa che mi consola: sentirmi ogni giorno diversa da chi usa violenza. Ho creduto e voglio credere ancora che qualcosa possa cambiare con pene più giuste».

 

Anna Maria Scarfò viveva a San Martino, frazione di Taurianova, in Calabria. Condivideva la stanza con la sua sorellina, aveva tanti sogni, quando arrivò nella sua vita un ragazzo e iniziò a fidarsi di lui, gli affidò i suoi sentimenti, ignara della trappola: non c’era traccia di amore, di tenerezza e di spensieratezza in quel ragazzo, che diventò invece la porta per un inferno senza fine.

 

Durante gli anni di violenza provò a chiedere aiuto, ma trovò solo muri, coltelli pronti ad affondare nei suoi sensi di colpa: temevano solo lo scandalo, le ripercussioni della denuncia sul contesto sociale. Nessuna traccia di empatia, pietà, cura. Un giorno scoprì di potercela fare da sola e accadde quando il gruppo di stupratori minacciò di accanirsi anche sulla sorellina; allora trovò la forza di denunciare, di affrontare le donne dei suoi stupratori, i pregiudizi, gli insulti, l’isolamento. Anna Maria si affidò alla giustizia, affrontò i processi e fece condannare i suoi violentatori. «Incontrai il padre di uno di loro dopo la denuncia. Mi consegnò una lettera, mi chiedeva perdono. Ho risposto che io non devo perdonare, io non odio. Devono chiedere perdono a Dio». Diventò per tutti la «malanova», come il titolo del libro scritto da Cristina Zagaria sulla sua storia. «Andava in giro con i pantaloncini corti, li ha provocati, ha rovinato la reputazione del paese». Sono alcune delle frasi che ho raccolto e commenti apparsi sui social, a cui si aggiunsero intimidazioni. Sporcarono i panni stesi dalla madre di sangue, le uccisero il cane. Poi altre minacce e l’ingresso nel programma protezione per stalking.

 

«Lo Stato mi ha tutelata e mi ha resa la donna che sono. Ma il passaggio dalla protezione alla vita reale è difficile, nessuno ti prepara. Sono riuscita a formarmi una famiglia, ho una bimba e lavoro. Malgrado sia passato tanto tempo ho voluto mostrare al mio compagno dove sono cresciuta e sono tornata in Calabria l’anno scorso, ma ho respirato la stessa aria. Sento di essere non accettata. C’è tanto da fare a livello culturale». Anna Maria ha sete di riscatto dall’etichetta «malanova», non vuole essere considerata un’eroina, ma essere utile. «Non ho realizzato i sogni che avevo, me li hanno tolti. Il diritto alla felicità che spetta a un’adolescente non tornerà più, anzi: non l’ho conosciuto. Sono passata dallo stupro all’amore e ancora oggi per chi mi sta accanto non è facile. So che la mia famiglia ha cambiato vita per me, pur non avendomelo mai fatto pesare. Oggi ho un obiettivo, però, e non me lo ruberà nessuno: vedere crescere mia figlia felice e avere un’associazione tutta mia per aiutare altre donne».