Ambiente

La qualità dell'aria nelle città italiane è pessima. Ma la politica fa finta di niente

di Luigi Balestra   7 settembre 2023

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Lo skyline di Milano

Nonostante il rincorrersi degli allarmi per la salute, le amministrazioni rispondono con interventi blandi mentre cresce il contenzioso giudiziario sui danni da smog

È di qualche settimana fa la notizia di un avviso di chiusura indagini della procura della Repubblica di Torino nei confronti di ex amministratori comunali e regionali di spicco (tra cui Sergio Chiamparino, Piero Fassino e Chiara Appendino). Le indagini sono ancora in corso per alcuni degli attuali vertici, tra cui il presidente Alberto Cirio. I fatti addebitati concernono l’inquinamento atmosferico, tristemente imperante in quei territori, e si fondano su alcuni dati inquietanti: tra i 1000 e i 1400 morti, metà dei quali per malattie cardiovascolari, nel periodo preso in considerazione.

 

Al di là della fondatezza o no delle accuse mosse – inefficienze, inadeguatezze, ritardi nell’adozione di misure – per le quali sarà il procedimento giudiziario a fornire un verdetto in merito alla sussistenza di eventuali condotte colpose, rimane sul tavolo un problema scottante, con il quale la politica fa fatica a fare i conti: l’irrespirabilità dell’aria in una significativa parte del Paese, e questo per lunghi periodi durante l’anno. Il rapporto di Legambiente “Mal’Aria di città (cambio di passo cercasi) 2023” è al riguardo impietoso. Milano e Torino troneggiano tra le città a più alto tasso di inquinamento; il Nord Italia è, di fatto, in misura preponderante interessato dal fenomeno. In città come Bologna gli effetti dell’inquinamento risultano peraltro amplificati dalla presenza dei bellissimi portici, patrimonio dell’Unesco, i quali creano una stagnazione dell’aria, divenendo veri e propri contenitori di polveri sottili.

 

Uno scenario del genere è destinato in un prossimo futuro a dare la stura a contenziosi di natura risarcitoria particolarmente impattanti. Qualche mese fa la Corte di Cassazione ha sancito la giurisdizione del tribunale ordinario con riguardo a un giudizio avente a oggetto il risarcimento dei danni subiti da un residente nel comune di Milano per aver contratto una patologia a livello di bronchi, faringe e narici causata dell’inquinamento atmosferico. Un’apertura suscettibile di creare, data la vastità del problema, falle enormi nei bilanci delle amministrazioni pubbliche. 

 

È sufficiente, del resto, consultare le tante applicazioni disponibili per rendersi conto dei livelli inaccettabili della qualità dell’aria che interessano sovente molte città italiane. In questi casi, l’applicazione si dà peraltro carico di consigliare l’astensione dallo svolgimento di un esercizio fisico intenso all’aperto, soprattutto da parte della popolazione a rischio. In uno scenario simile, colpisce il fatto che nessuna raccomandazione in merito alle cautele da adottare provenga dai vertici locali delle amministrazioni interessate, e questo nonostante non possa essere posto seriamente in dubbio che su di esse gravi un dovere di informare la popolazione sui rischi.

 

Al cospetto del fondamentale diritto alla salute, sembra quasi vi sia una deliberata volontà di sottacere un problema scomodo da affrontare. La mancanza di dibattito diventa così foriera di gravissimi inconvenienti, poiché impedisce la maturazione di un’adeguata consapevolezza da parte della popolazione e, conseguentemente, pregiudica la possibilità di autodeterminarsi rispetto al bene salute; nel contempo, rimangono in uno stato di latenza gli stimoli ad attivarsi al fine di elaborare una strategia di intervento di portata ampia e con finalità risolutive. E dire che, al fine di innescare un serio e fattivo dibattito, sarebbe sufficiente aprire uno schietto confronto sul citato rapporto Legambiente Mal’Aria, in cui sono tra l’altro contenute una serie di proposte già concretamente adottabili.

 

Sul tema non mancano peraltro studi e prese di posizione anche a livello internazionale. La Commissione europea ha di recente pubblicato una relazione in cui, da un lato, si pongono in luce gli ingenti danni – anche in termini di perdita di vite umane – che l’inquinamento, non solo atmosferico, provoca. Dall’altro si ribadiscono gli obiettivi del piano di azione inquinamento zero. Una relazione che, come sottolineato da qualche commentatore, è passata pressoché inosservata.

 

Un dato scioccante è quello ricavabile da uno studio pubblicato recentemente sulla rivista The Lancet Planetary Health: solo lo 0,0001% (meno di centomila persone) della popolazione mondiale respira un’aria davvero pulita. Si tratta, dunque, di un problema che agita l’intero arco planetario. L’Italia, tra i Paesi dell’area occidentale, è tra i più colpiti. Per affrontarlo in modo risolutivo occorrerebbe farsi portatori di scelte coraggiose, come tali spesso impopolari, guardando oltre il contesto delle singole città. Scelte che, solo si fosse dotati di lungimiranza, potrebbero però essere concepite come forme di vero e proprio investimento futuro, poiché idonee a dar vita a una riduzione della spesa sanitaria, decretando un aumento del benessere a livello collettivo; in pari tempo, esse potrebbero costituire una potente spinta verso un’innovazione tecnologica realmente attuativa della tanto declamata svolta green.

 

Fintanto che gli amministratori pubblici saranno dominati dall’ansia di non urtare il consenso popolare tralasciando, in nome di scelte populistiche, la reale essenza del bene comune, continueremo ad assistere ad interventi flebili e inconcludenti. Dovremo nutrirci di una politica fatta di piccoli passi e di grandi proclami, contraddistinti da blandizie e da preannunciate azioni risolutive di cui sono ignoti tempi di realizzazione e portata. Eppure, i danni catastrofici già prodotti, l’ecoansia dirompente da cui sono afflitti settori sempre più estesi della popolazione giovanile e no, la cattiva salute dei nostri territori e, più in generale, dell’intero Pianeta, sono tutti elementi che imporrebbero di intervenire in modo drastico e realmente efficace, privilegiando – per dirla con Vito Mancuso – valori più importanti rispetto alla realizzazione  del proprio interesse immediato. 

 

Quel che però non deve sfuggire è che, così come nelle società commerciali l’amministratore può essere chiamato a rispondere quando, a fronte di una situazione di crisi, non adotti scelte e strategie in concreto esigibili al fine di porvi rimedio, allo stesso modo gli amministratori pubblici potranno rendersi responsabili – e questo al cospetto dell’intera collettività – per omesso o inadeguato intervento rispetto a uno stato delle cose oggi non più tollerabile. Quanto del resto accaduto di recente Oltralpe ben può fungere da monito: il 16 giugno scorso il tribunale amministrativo di Parigi ha per la prima volta condannato lo Stato, ritenuto responsabile dell’inquinamento dell’aria nella regione parigina, a risarcire le famiglie di due bimbe vittime di gravi crisi di asma, bronchiti ed otiti, con conseguente necessità di periodi di ospedalizzazione e di cure quanto mai pesanti. In precedenza, il Consiglio di Stato aveva inflitto allo Stato francese un’ammenda di dieci milioni di euro, successivamente aumentata a venti, in quanto reputato colpevole della cattiva qualità dell’aria.

 

Una politica virtuosa avrebbe richiesto – e non da oggi, considerate le informazioni e i documenti disponibili ormai da molti lustri – la messa in capo di strategie capaci di invertire tempestivamente l’inesorabile deterioramento delle condizioni di vivibilità delle nostre città, preservando la fondamentale e generale esigenza di poter beneficiare di un’aria respirabile. Ancora una volta ci si ritrova a dover constatare l’assenza di programmazione, cui fa da sfondo una situazione cui è devenuto sempre più difficile porre rimedio. Che siano ancora una volta i processi a dover tentare di porre rimedio a situazioni di crisi la dice lunga sull’incapacità di guardare in modo disinteressato e virtuoso agli effettivi bisogni della collettività.