Analisi

La morte di Giovanna Pedretti è il fallimento del giornalismo

di Gianfrancesco Turano   16 gennaio 2024

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Il suicidio della titolare di una pizzeria di Sant’Angelo Lodigiano dopo una querelle tra social e tv obbliga a ricordare qual è il dovere primario del giornalismo: giudicare se la notizia è di pubblico interesse

Avvertenza: questo pezzo è sconsigliato ai fruitori di politicamente corretto. Come usa fare sui social, mi scuso se impegno i neuroni dello stimato pubblico per più di dieci secondi. Parliamo di Sant’Angelo Lodigiano. Giovanna Pedretti, ristoratrice, si uccide nel fiume Lambro dopo avere pubblicato una recensione con suo commento a un cliente indignato per avere cenato accanto a un gay e a un portatore di handicap. 

 

Il botta e risposta, interamente a firma della signora Pedretti, procura gloria social-mediatica alla ristoratrice che difende i gay e le persone con disabilità e si guadagna così una convocazione dei carabinieri, partiti in caccia del recensore infame. In caserma le cose iniziano a guastarsi. Durante il terzo grado, la signora non riesce a fornire elementi sull’identità del cliente e passa dalla parte del torto, anche perché c’è chi si prende la briga di smascherare il botta e risposta con un’operazione che in lingua globale si chiama debunking.

 

Il ritrovamento del corpo di Giovanna Pedretti nel fiume Lambro rovescia il vento social contro la coppia di debunkers Biagiarelli-Lucarelli, il che farebbe pensare a una sorta di contrappasso dantesco o, più terra terra, ai pifferi di montagna che andarono per suonare e furono suonati. 

 

A valle del Lambro di inchiostro impegnato sulla vicenda, viene da dire che tutto questo poteva essere evitato applicando le antiche, ciniche, sane regole del giornalismo. Quello che accade in una pizzeria di Sant’Angelo Lodigiano, o di Molfetta, o di Caianiello, è oggetto di cronaca nazionale dalla strage in su. Se il primo che usa la parola gay o persino "frocio" su quell’immensa parete di cesso pubblico chiamata social finisce sul Tg nazionale di una rete Rai, il giornalista ha rinunciato al suo dovere principale. Che non è quello di verificare la veridicità di una notizia, quello viene dopo. Il dovere principale è di giudicare se la notizia, vera o falsa si vedrà in seguito, è di pubblico interesse.

 

Esempio. Se a un quidam de populo parte un colpo di calibro 22 a Capodanno e c’è un ferito molto lieve in quel di Rosazza, 97 abitanti in provincia di Biella, esce un pezzo in cronaca locale. Forse. Se il quidam de populo risulta essere un deputato del partito di maggioranza relativa, cambia tutto e si è visto con l’onorevole Emanuele Pozzolo di Fdi.

 

È così semplice? Sì. 

 

La differenza tra il giornalista e il non giornalista è nella responsabilità, si suppone acquisita con pratica e studi, di definire il pubblico interesse. Quindi, di selezionare quello che va pubblicato e quello che non va pubblicato. È un potere enorme? Lo è. È eccessivo? Probabilmente. Ma l’alternativa è la spazzatura indifferenziata che sta sommergendo l’informazione. Un cronista può sbagliare, come sbagliano un medico, un giudice, un idraulico. Può sbagliare con conseguenze gravi ed è giusto che paghi. Ma se rinuncia al suo dovere primario, non può fare il giornalista.