Editoriale

«Dai trattori al caso di Ilaria Salis: la destra di governo vuole solo provocare pulsioni»

di Enrico Bellavia   12 febbraio 2024

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L'esecutivo di Giorgia Meloni plaude all’arretramento europeo sull'uso dei pesticidi. E compiace l’autocrazia ungherese, trattando la connazionale detenuta come una criminale. Tutto per bieco calcolo d'interesse

Istruita da mano maldestra, l’intelligenza artificiale che guida le scomposte reazioni dei leader di governo agli accadimenti più disparati denota un difetto di programmazione che restituisce una babele di posizioni, un’approssimazione di obiettivi e l’inesistenza di una qualche visione. Perché è indifferente al buon senso e sembra obbedire al solo comando coerente impartito: restituire un discorso che provochi pulsioni. Altro che ragionamenti.

 

Così, contrabbandare per vittoria politica, come fanno i nostri, un arretramento europeo sull’uso dei pesticidi in agricoltura scarica sulla collettività le questioni reali poste dalle proteste dei trattori, peraltro già sfuggite di mano ai governativi della Coldiretti e con settori cavalcati da improbabili capipopolo. Al centro ci sono le politiche agricole e la difesa dei piccoli produttori rispetto a un mercato globalizzato e a regole che si trasformano in cappi insopportabili per chi ha a cuore tanto la difesa della terra quanto la sopravvivenza di un comparto indispensabile per la nostra economia. Libertà di inquinare non significa proteggere l’agricoltura.

 

A questo dovrebbe provvedere una politica fiscale equa, una redistribuzione delle risorse e degli aiuti per rendere appetibile un Green Deal che altrimenti, inevitabilmente, sarà opzione praticata dai grandi e lascerà indietro altri, i piccoli, gli ultimi, generando nuove sperequazioni, ampliando il divario, producendo un sistema in cui equità e ambiente siano ostili avversari e non imprescindibili assi di un unico disegno. Il rapporto tra la nostra maggioranza di governo e quella che genericamente chiamiamo Europa occuperà di qui al 6-9 giugno molto dell’agenda che vorremmo fosse politica.

 

È interesse di Giorgia Meloni che in quell’agenda compaia il meno possibile la questione di Ilaria Salis. Ci eravamo illusi che il sia pur tardivo intervento di premier e ministri producesse qualcosa che non fosse un generico arroccamento dietro alle risibili argomentazioni di Viktor Orbán. Invece si pretende che gli italiani abbocchino alla favoletta di una magistratura ungherese indipendente dal potere politico, la cui autonomia, che i nostri minacciano in patria, vogliono invece assolutamente rispettare a Budapest. In questo modo lasciano che una cittadina italiana rimanga in carcerazione preventiva da un anno tondo con prospettiva di rimanerci ancora a lungo per un episodio, diciamolo, di gravità relativa, ma di portata esemplare per sovranisti e nazionalisti che strizzano l’occhio a braccia tese e camicie nere e brune.

 

Dipingere Ilaria Salis come una criminale, assumendo come proprie le argomentazioni della Procura ungherese serve a innalzare una cortina fumogena che ha solo una ragione: la compiacenza interessata verso un’autocrazia che a Meloni e a Matteo Salvini, eternamente in competizione dentro un’alleanza rissosa ma necessaria, piace. E molto. Salis non è una connazionale da difendere in nome del diritto europeo e dell’Italia, ma una reproba sinistrorsa che ha avuto l’ardire di manifestare contro i nazifascisti ungheresi.

 

Non esattamente dei pacifisti gandhiani che peraltro non hanno denunciato la presunta aggressione di due camerati, per la quale Salis si professa innocente, preferendo far sapere che si faranno giustizia da soli. A loro modo c’è coerenza. Li tranquillizza la mano ferma del governo magiaro e il braccio armato della legge locale. Li rassicura sapere che l’Italia, per bieco calcolo d’interesse, non farà nulla.