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Evasione fiscale, il governo Meloni come il Gattopardo: tutto cambia perché nulla cambi
Il concordato preventivo proposto dall'esecutivo è un patto con una categoria di contribuenti non in regola con il Fisco. Un altro provvedimento identitario che non persegue l'interesse collettivo, ma soltanto una parte. E in chiave elettorale
In un Paese in cui da anni l’evasione fiscale la fa da padrona, stupisce che il governo si affanni non per sconfiggerla, ma per proporre un «patto con gli evasori» per una specifica categoria di contribuenti. Il concordato preventivo biennale, infatti, tende la mano a 4,1 milioni di contribuenti da lavoro autonomo o reddito di impresa inferiore a 5 milioni di euro che, secondo i dati accertati dal Mef, hanno evaso 41,5 miliardi. Una cifra che fa impressione, pari a circa il 50 per cento dell’evasione fiscale. La presidente del Consiglio ritiene che questa iniquità sia dovuta a un «fisco poco amico».
È singolare che in Italia una questione storica e complessa come l’evasione fiscale la si voglia combattere con un «patto con gli evasori», quale il concordato preventivo biennale. L’Agenzia delle Entrate, infatti, dovrebbe prospettare a ciascun contribuente, affidabile e persino non affidabile, con un volume di affari sotto i 5 milioni di euro una proposta valida per la tassazione nel biennio 2024-2025 relativa alla stima del reddito imponibile.
Il governo non vuole trattare in modo unitario l’evasione fiscale, come previsto dall’Ue in tema di prescrizioni da assolvere per ottenere i fondi del Pnrr. Il suo obiettivo, si voglia o no, non è di adottare provvedimenti nell’interesse della collettività, ma di una sola parte di essa. È in questa impostazione che sta il vulnus della legge sul concordato fiscale, non tanto nelle questioni tecniche che gli specialisti della materia avanzano sulla stampa specializzata per dimostrarne l’inefficacia.
Alcuni esempi sono forniti: 1) dal disinteresse a ricorrere al concordato da parte di un contribuente con un punteggio pari o superiore a 8 (indice sintetico di affidabilità), perché i vantaggi li avrebbe ugualmente, essendo un contribuente affidabile; 2) dal fatto che se un contribuente risulta sotto l’indice 8 di affidabilità la proposta dell’Agenzia delle Entrate dovrà essere conforme al punteggio di 8 e conseguentemente potrà utilizzare dei vantaggi dell’affidabilità fiscale; 3) la copertura dagli accertamenti vale solo per i redditi e non per l’Iva. Le tare tecniche, molto probabilmente, il viceministro dell’Economia e delle Finanze Maurizio Leo riuscirà a colmarle. Ciò che tuttavia il viceministro non riuscirà mai a colmare è la macchia indelebile che il governo di destra si porta dietro con il «patto con gli evasori».
L’ennesimo provvedimento identitario rivolto a rassicurare i suoi elettori. Tutto cambia perché nulla cambi. Nell’epoca della digitalizzazione e dell’intelligenza artificiale, per il governo, con l’incrocio dei dati a disposizione dell’Agenzia delle Entrate sarebbe possibile colpire un fenomeno generatore della massima ingiustizia, come l’evasione fiscale. È questo invece l’ennesimo tentativo con cui il governo cerca di distrarre l’opinione pubblica, facendo finta di rassicurare i cittadini sulla sua terzietà. Le divagazioni interessate, però, hanno le gambe corte. Prima o poi tutti si accorgeranno che il concordato preventivo biennale ha soltanto lo scopo di far «passare la nottata» in vista delle elezioni europee.