Facciamo Eco
«L’Amazzonia è la nostra Arca di Noè. La sua distruzione danneggerà tutto il pianeta»
Il polmone verde della Terra si sta avvicinando al punto di non ritorno. Con conseguenze devastanti a catena su temperatura, acqua e clima. Ben oltre i confini della foresta. Occorre cambiare subito il modello economico
L'Amazzonia rischia di collassare. Dopo avere resistito per 65 milioni di anni, il più importante ecosistema al mondo per capacità di regolare e sostenere clima e cicli biologici è oggi seriamente in pericolo. È quanto denuncia l’ultima ricerca internazionale pubblicata il 14 febbraio su Nature, dal titolo “Critical transitions in the Amazon forest system”. L’Amazzonia potrebbe presto superare i limiti di sopportazione oltre i quali un sistema collassa. Parliamo dei «tipping point» o punti di non ritorno.
La ricerca ha analizzato i principali cinque fattori di stress per la foresta: riscaldamento globale, deforestazione, diminuzione della quantità di precipitazioni annuali, intensità delle precipitazioni durante la stagione delle piogge, lunghezza della stagione secca. Ha poi individuato i tipping point relativi ai fattori di rischio e li ha combinati per verificare i limiti di sopportazione del sistema. Il risultato previsto è il collasso ecosistemico del 47% dell’Amazzonia entro il 2050. Il polmone del mondo potrebbe in pochi decenni trasformarsi in una savana e mettere in moto una serie di eventi a catena che avrebbero impatti catastrofici su vasta scala.
Perdere gran parte della foresta significherebbe, ad esempio, contribuire ad aumentare di molto la temperatura della Terra, perché l’Amazzonia è in grado d’immagazzinare l’equivalente di 15-20 anni di nostre emissioni di CO2. Mentre la sinergia tra i diversi fattori di rischio potrebbe portare anche al degrado di aree considerate resilienti. Una porzione della foresta, infatti, nei prossimi anni sarà esposta a ulteriori stress climatici che potrebbero «innescare transizioni inaspettate», determinando effetti negativi in altre regioni del mondo.
Se l’aumento della temperatura fosse superiore a 1,5° (la soglia da non superare secondo l’Accordo sul clima di Parigi firmato da 194 Paesi nel 2015), le precipitazioni sarebbero inferiori a 1.800 mm, la stagione secca si allungherebbe a cinque mesi e la deforestazione risulterebbe maggiore del 10% rispetto alla copertura arborea originale del bioma forestale. Se l’Amazzonia perde vegetazione produce meno acqua. E aumentando lo stress idrico si avvicina ancor più velocemente a punti di svolta. Le tonnellate di vapore acqueo prodotte ogni giorno sono una componente fondamentale del monsone sudamericano e regolano le piogge di tutto il Continente.
L’impatto di un eventuale collasso dell’Amazzonia non si ferma, quindi, ai confini della foresta. Come insegna l’ecologia integrale, siamo gli uni collegati agli altri e non possiamo essere sani in un pianeta malato. La foresta amazzonica è la nostra “Arca di Noè”. Perderla significherebbe perdere noi stessi, mettendo a rischio le generazioni che verranno. Se vogliamo proteggere la specie umana e le altre viventi dobbiamo fare di tutto per evitare il collasso dell’Amazzonia.
Concretamente significa che la deforestazione deve mantenersi sotto il 10% della copertura originale. Oggi il 15% del bioma è già stato distrutto. Perciò dobbiamo ripristinare almeno il 5% della foresta, fermare il disboscamento e le attività minerarie estrattive, facendo tutti gli sforzi possibili per mantenere l’aumento della temperatura sotto 1,5°. Vuole dire cambiare modello, non il clima. Perché è l’economia estrattiva, capitalista, patriarcale e coloniale a essere insostenibile, non solo per l’Amazzonia, ma per tutte le specie viventi, umani inclusi. Facciamo Eco!