Il commento
«Le Pen e Bardella sono stati battuti, non vinti. Il fattore tempo gioca a loro favore»
Il populismo non scompare. Mentre i vincitori riuniti in un nuovo spirito repubblicano per fermare la destra ora saranno costretti a trovare una quadra per governare
La «resilienza» della diga repubblicana, a dispetto delle previsioni pessimistiche della vigilia. L’avanzata delle «estreme» in una Francia fattasi per certi versi ingovernabile (grande è la confusione sotto il cielo di Parigi…), con una polarizzazione ulteriormente accresciuta. Una sinistra riformista in salute, accanto a un gauchisme decisamente robusto. Il centro riportato in vita da un «all in» e gli ex gollisti lealisti tuttora in piedi. E la «vittoria di Mbappé» (a conferma che Marine Le Pen se l’è presa con la persona sbagliata). Questi fotogrammi compendiano l’esito del secondo turno delle elezioni legislative che ha tenuto l’Europa col fiato sospeso, e si è risolto con uno sbarramento vittorioso – ancorché molto disomogeneo politicamente – nei confronti di quel Rassemblement National che rimane di estrema destra.
Un risultato derivato dal massiccio ricorso allo strumento della desistenza consentito dal voto su due turni, e dall’affluenza record (66,7%). Il presidente della Repubblica “pokerista”, detestato dalla maggioranza dai francesi e dai partiti estremisti (fra loro differenti, ma accomunati dall’antimacronismo), ha vinto la sua scommessa. La Macronie è finita, e inizia il postmacronismo, che può ripartire dal fatto che Ensemble costituisce comunque il secondo gruppo dentro l’Assemblea nazionale.
Per adesso i vertici del Rn masticano quindi amaro. Ma non scompaiono tutto a un tratto le motivazioni che hanno gonfiato le vele del suo consenso. Quanto avvenuto in Francia, specie in occasione del primo turno, bloccato soltanto grazie al ricompattamento in nome dell’esprit républicain, non è altro che l’ultimo episodio di una narrazione sulla cresta dell’onda da parecchio in questa nostra epoca populista – il «popolo» contro le élites – promossa da imprenditori politici e pifferai magici sovente pericolosi. Come, per l’appunto, il «partito-clan» dei Le Pen, edificato dal padre Jean-Marie fra negazionismo della Shoah, razzismo antiarabo, lascito del collaborazionismo di Vichy, reducismo dell’Oas (l’organizzazione terroristica operante nella guerra d’Algeria) ed eredità del poujadismo qualunquista, oltre a opachi business finanziari di vario genere e a generosi “prestiti” provenienti dalla Russia putiniana.
Ora, il «bardellepenismo», leccatesi le ferite della delusione (e sempre che non si inneschi una rivalità incontenibile fra il giovane protegé e la sua anfitriona), può tranquillamente mettersi sulla riva della Senna ad aspettare, poiché il fattore tempo, nonostante tutto, continua a essere dalla sua parte.
Mentre i progressisti – riformisti, centristi e radicali – devono obbligatoriamente trovare degli accordi e fare politica, contando sull’inedita (per l’architettura costituzionale della Quinta Repubblica) centralità del Parlamento, che costituisce un’altra novità di rilievo di questa tornata elettorale. E, dopo avere dato prova di spirito repubblicano, devono «comportarsi da adulti», come ha detto Raphaël Glucksmann, per rispondere all’ansia sociale dilagata ovunque in un Paese con un debito pubblico al 110% e un’economia sostanzialmente in stagnazione. Un invito assai opportuno al senso di responsabilità – e alla governabilità – che va indirizzato innanzitutto al «tribuno del popolo» Jean-Luc Mélenchon…