Consumo, sostanze leggere, piccolo spaccio: i dati mostrano che la vena repressiva e moralistica ha effetti deleteri sul sistema giustizia. Dietro al sovraffollamento c’è una questione sociale

Il 26 giugno è stata la Giornata internazionale contro l’abuso e il traffico illecito di droghe; per i proibizionisti di casa nostra è diventato l’appuntamento contro la droga e un’occasione per riproporre la guerra infinita contro i consumatori di sostanze illecite, sulla base di scelte moralistiche e non scientifiche (perché la canapa e non l’alcol o il tabacco?). Da quindici anni la Società della Ragione assieme a molte associazioni presenta un Libro bianco con i dati inoppugnabili sugli effetti, collaterali o voluti, della legge antidroga sulla giustizia e soprattutto sul carcere. Il quindicesimo Libro bianco, “Il gioco si fa duro”, conferma che la causa del sovraffollamento è determinata da una questione sociale.

 

I numeri dei presenti confermano la preponderanza della questione legata al consumo e al piccolo spaccio di droghe: 60.166 detenuti erano presenti alla fine del 2023 (oggi sono lievitati a 61.547 e sono destinati ad aumentare ancora, per non parlare dei 45 suicidi, con il rischio di stabilire un triste record a fine anno) di cui 19.521 (34%) per violazione dell’art. 73 e 17.405 (28,9%) classificati come tossicodipendenti. Il totale è di 36.926 soggetti espressione della detenzione sociale: un vero scandalo.

 

Dopo la scelta del governo di alzare le pene per i fatti di lieve entità previsti dal 5° comma dell’art. 73 (fino a cinque anni!) e la scelta di inserire nel disegno di legge in discussione in Parlamento sulla sicurezza (Atto Camera n. 1660) l’equiparazione della cannabis light a quella con capacità drogante, non rimane che il confronto nel Paese. È tempo di ripresentare un referendum sulla de-carcerizzazione di tutte le condotte previste dall’art. 73, dalla detenzione alla cessione gratuita, riguardanti la cannabis e punite con la reclusione da due a sei anni. Prova che fu impedita nel 2022 dalla Corte costituzionale grazie a una sciagurata interpretazione, capziosa e sbagliata del quesito, da parte di Giuliano Amato.

 

La simulazione di un carcere senza i prigionieri frutto della legge proibizionista rende evidente che non ci sarebbe sovraffollamento e il carcere potrebbe essere davvero l’extrema ratio. Le segnalazioni ai prefetti per mero consumo proseguono implacabilmente e ormai si attestano, dal 1990, sopra il milione e quattrocentomila, una vera persecuzione contro una generazione di giovani: va notato che il 76% si riferisce a cannabinoidi. Lo spinello come stigma sociale è davvero allucinante.

 

Occorre coraggio e mettere all’ordine del giorno l’approvazione di un provvedimento di amnistia e indulto, accompagnato da provvedimenti strutturali come l’abbassamento delle pene per lo spaccio e le altre ipotesi riguardanti tutte le droghe (pene che vanno da sei a venti anni di reclusione) o un intervento che consenta la concessione di misure alternative. Anche l’istituzione di Case di reinserimento sociale per ospitare le persone con pene inferiori a dodici mesi e la cui gestione sia affidata al sindaco, attuando una pratica sociale per superare l’esclusione e abbattere la recidiva, può rappresentare un cambio di paradigma.

 

Il numero chiuso per impedire che le carceri siano un ammassamento di corpi va immaginato. Infine, perché il carcere rispetti la legge va garantito il diritto alla affettività e a colloqui intimi senza controllo visivo. Le proposte intelligenti e ragionevoli ci sono.