Uno scontro di potere come non si era mai visto contrappone Benjamin Netanyahu al Servizio di Sicurezza Generale, altrimenti detto Shin Bet. Lo scontro è esploso quando, domenica 16 marzo, dando seguito alle voci che circolavano da un pezzo, Netanyahu ha annunciato che avrebbe chiesto le dimissioni del capo del servizio Ronen Bar, essendo venuto meno il rapporto di fiducia che deve legare il premier al direttore della colonna principale su cui poggia la sicurezza d’Israele. Neanche per idea, ha replicato Bar: «La mancanza di fiducia di Netanyahu deriva dal mio rifiuto di piegarmi alla sua richiesta di lealtà personale. Richiesta totalmente inappropriata».
Il licenziamento di Ronen Bar è l’ultimo capitolo di una crisi di sistema provocata dal massacro del 7 ottobre 2023, perpetrato contro le comunità ebraiche al confine con la Striscia di Gaza dai miliziani di Hamas e della Jihad Islamica, attacco che ha provocato 1.200 morti e la cattura di 251 persone prese in ostaggio e trasportate a Gaza. La guerra devastante che ne è seguita contro Hamas e la Jihad islamica (60.000 morti e oltre 100.000 feriti) ha finito con il coprire il capitolo delle responsabilità della carneficina.
In questo frangente, che dura da 17 mesi, non tutti i responsabili chiamati a vario titolo a rispondere di quel colossale fallimento politico-militare hanno deciso di nascondere la testa sotto la sabbia. Non lo ha fatto il ministro della Difesa Yoav Gallant che il 4 Novembre scorso, in aperto contrasto con il premier, è stato costretto a dimettersi. Né ha sottaciuto le proprie responsabilità il capo di Stato Maggiore, Herzl Halevi, che si è dimesso i primi di marzo. L’opinione più diffusa voleva che, dopo Gallant e Halevi, il prossimo nella lista sarebbe stato Ronen Bar che con Halevi aveva condiviso i gravi svarioni che avevano caratterizzato la notte del grande abbaglio, quando davanti ai ripetuti allarmi che qualcosa di strano stava succedendo al confine di Gaza, i due alti ufficiali, alle 4.30 del mattino, decisero di rinviare ogni decisione all’indomani, mentre alle 6.29 scattava l’offensiva di Hamas.
Ronen Bar ha sempre ammesso i suoi errori, aggiungendo però che non si sarebbe dimesso se non a guerra finita e dopo che l’ultimo ostaggio fosse tornato a casa, vivo o morto. Ma quello che ha suscitato l’ira di Netanyahu sono le conclusioni dell’inchiesta interna sul 7 ottobre svolta dallo Shin Bet. Inchiesta secondo cui Netanyahu ha commesso un gravissimo errore nel «gestire il conflitto senza risolverlo», permettendo ai dollari del Qatar di arrivare a Gaza, «sapendo che sarebbero stati usati per costruire la macchina del terrore (armi e tunnel, ndr)». Parallelamente, insiste il servizio segreto, il governo ha disatteso anche gli allarmi generati dalle manifestazioni svoltesi in tutto il Paese nel 2023 per protestare contro la riforma giudiziaria, che secondo gli avversari di Netanyahu altro non è che un “golpe giudiziario”, portato avanti dal premier col ministro della Giustizia e alleato, Yariv Levin.
La risposta di Netanyahu non si è fatta attendere: «L’intelligence ha presentato un’indagine che non risponde a nessuna domanda e che non corrisponde alla portata dell’enorme fallimento dell’organizzazione. Ronen Bar non è stato all’altezza». E così Netanyahu resta il solo a non volersi assumersi le proprie responsabilità.