Opinioni
1 ottobre, 2025La stabilità dei conti non basta. La crescita economica resta bassa. E questo è il punto davvero dolente
«Lo spread me lo curo io … io mangio pane e spread e lo spread sta basso». Era il 22 settembre 2018 e Matteo Salvini, segretario della Lega, commentava così a Di Martedì il rischio che l’aumento della differenza tra tassi di interesse pagati dall’Italia e dalla Germania (lo spread appunto) causasse un aggravio dei conti pubblici. Sette anni dopo, Giorgetti, vice segretario della Lega, oltre che ministro dell’Economia e delle Finanze, concludeva invece che «dati positivi su spread e rating portano benefici a imprese e famiglie». Tempi diversi e, soprattutto, spread diversi. La posizione di Salvini era a dire il vero più articolata di quanto appaia dalla sopra riportata citazione. Salvini sosteneva, ed era la posizione dell’allora governo Cinque Stelle-Lega (anche qui ne è passata di acqua sotto i ponti), che ciò che poteva portare a un calo dello spread era la crescita economica e non tanto il rispetto di certi parametri imposti dalle regole europee sui conti pubblici.
Anzi, un maggior deficit pubblico spingendo la crescita economica avrebbe rafforzato la fiducia nel nostro Paese e portato a un calo dello spread. Ma il contrasto tra la posizione, di allora, di Salvini, e quella, attuale, di Giorgetti resta evidente, visto che il calo dello spread italiano e il miglioramento della valutazione dell’Italia dato dalle agenzie di rating (da ultima Fitch) è dovuto proprio alla prudenza con cui il governo Meloni sta gestendo i conti pubblici, e non a un miglioramento delle prospettive di crescita.
Certo, il debito pubblico resta alto (oltre il 135% del Pil a fine 2024), come pure il deficit (3,4% l’anno scorso), ma le prospettive sono per un chiaro miglioramento: il debito, a parte l’effetto di cassa ritardato dei bonus edilizi, è tendenzialmente in discesa. E sul fronte del deficit le sorprese sono solo positive. L’anno scorso il governo, cosa inusuale, ha deciso di risparmiare 20 miliardi di maggiori entrate invece di far partire una discussione su come utilizzare questo “tesoretto”, finendo l’anno con un deficit più basso del previsto. E quest’anno probabilmente accadrà la stessa cosa: il deficit potrebbe scendere al di sotto del 3% del Pil (contro un obiettivo del 3,3%), portando l’Italia al di fuori della “Procedura di deficit eccessivo” in cui eravamo caduti, assieme a tanti altri Paesi dell’area euro, dopo gli eccessi di spesa post Covid. L’Italia è ora percepita come un Paese che rispetta le regole europee e tiene i conti pubblici sotto controllo.
Paradossalmente, il miglioramento del rating e dello spread è avvenuto nonostante la crescita economica resti bassa. E questo è il punto davvero dolente. Dopo due anni di crescita allo 0,7%, quest’anno dovremmo finire allo 0,6%, un risultato non certo brillante. Occorre fare meglio in quest’area fondamentale.
La stabilità dei conti pubblici è una condizione necessaria per una crescita di lungo periodo, ma non è certo sufficiente. Bisogna ridurre la burocrazia, abbassare la pressione fiscale (ma questo richiede diminuire gli sprechi sulla spesa pubblica), velocizzare ulteriormente i tempi della giustizia, abbattere il costo dell’energia, creare un flusso regolare di immigrati (regolare, sottolineo, non sbarchi irregolari) e promuovere investimenti a livello europeo in grandi progetti infrastrutturali. Bene, quindi, il calo dello spread, ma ora pensiamo anche al resto.
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