Opinioni
29 dicembre, 2025Dalla strage di giornalisti, alle censure subdole e manifeste fino al riassetto italiano dei media
Il massimo della propaganda e il minimo dell’informazione. Potrebbe giocarsi in un diagramma tra opposti l’anno che volge al termine. Un asse inclinato, come le stagioni morte della politica, lungo il quale la propaganda ha preso velocità e l’informazione perde aderenza.
Propaganda di guerra, nei proclami russi: la violenza riscritta come destino, la conquista ribattezzata difesa, il diritto internazionale ridotto a variabile. Propaganda anche nell’incerta resistenza ucraina, costretta a inseguire l’urgenza militare più che la verità. Propaganda nella tronfia retorica trumpiana, capace di imporre un passo del tutto inedito all’intera comunicazione politica planetaria: non più il falso contro il vero, ma la farsa truce che distorce il senso. Propaganda nei pallidi emuli del presidente americano e del suo alleato Benjamin Netanyahu, in grado di contrabbandare uno sterminio per una risposta commisurata all’orribile aggressione subita da Hamas il 7 ottobre, svuotando le parole fino a renderle compatibili con l’indicibile.
Nel clangore di reboanti annunci, repentini ripiegamenti, giravolte da acrobati della parola e della mistificazione, si è consumata la stagione orribile dell’informazione. Sui fronti di guerra sono caduti 67 giornalisti (Reporter senza frontiere) in un solo anno. La metà sotto gli indiscriminati missili israeliani spediti a spazzare via la popolazione civile di Gaza, zona interdetta ai media internazionali. Non “danni collaterali”, ma testimoni eliminati.
Anche il nostro Paese, che quanto a propaganda ci regala il pensiero di governo in modalità palinsesto, offre un campionario istruttivo. Nell’affastellarsi di fatti rischiamo di dimenticare che cronisti e direttori sono stati pedinati e spiati. Utilizzando uno spyware di livello governativo, prodotto dalla società israeliana Paragon. Nessun altro avrebbe potuto utilizzarlo. E nella negazione generalizzata il caso resta lì, come la fiammella che illumina il buio di una degenerazione sotto la soglia del potere visibile, nello spazio di mezzo tra il segreto e l’arbitrio, ben oltre il lecito.
A questo si sono aggiunti il licenziamento di cronisti colpevoli di una domanda scomoda, le epurazioni silenziose, i richiami all’ordine travestiti da riorganizzazioni. E poi il tentativo di silenziare Report muovendo le leve di un carrozzone lottizzato come l’Autorità della privacy. In una morsa, il programma e il suo responsabile, Sigfrido Ranucci, si sono trovati stretti tra la pressione dei sottopancia governativi e una pressione ben più cupa: quella psicologica indotta dal fallito attentato sotto casa del giornalista.
A completare il quadro, il rimescolamento di carte e direzioni nella galassia dell’informazione di maggioranza ha prodotto un riassetto perfettamente allineato agli auspici di Palazzo Chigi. E l’anno va a concludersi con l’addio di John Elkann a Repubblica e Stampa, impacchettate con le radio e pronte a traslocare nelle mani dell’armatore greco Theodore (Thodoris) Kyriakou, entrato da mesi nel suk editoriale italiano. Per la gloriosa testata torinese della Stampa, il doppio affronto di diventare il surplus sgradito che il nuovo padrone deve accollarsi pur di non farsi sfuggire l’affare. Dicono che al greco interessino le radio, profittevoli e più vicine al core business del gruppo Antenna. Ma intanto l’editore ben introdotto negli ambienti trumpiani, passato per un placet politico romano, toglie dalla piazza due giornali decisamente poco inclini all’accondiscendenza verso la destra di governo. Curioso che a esultare, prima dell’improvvida sortita di Meloni sul palco di Atreju in finzione anti-Elkann recitata fuori tempo massimo, siano stati i russi, per bocca del loro ambasciatore, pronti a salutare come “buona notizia” l’indebolimento di una stampa critica in Italia. Nell’anno in cui la propaganda ha corso più veloce dell’informazione, il dato più allarmante non è ciò che ci è stato taciuto, ma ciò che abbiamo smesso di pretendere.
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