Opinioni
29 dicembre, 2025Si chiude un anno che, assieme agli sforzi repressivi, ha visto crescere proteste di piazza in tutto il mondo
«Prima della rivoluzione, questa appare impossibile; appena dopo, sembrava essere inevitabile». Questa citazione, attribuita a Rosa Luxembourg, racchiude forse l’essenza della fitta e instancabile rete di mobilitazioni che hanno costellato il 2025 così come degli sforzi annichilenti e repressivi dei governi. Cortei, piazze e presidi figli dell’insoddisfazione, della precarietà e della violenza strutturale di un mondo allo sfacelo, ma anche il risultato di una capacità di organizzarsi, resistere e ripensare il mondo con una sorprendente potenza rigenerativa e immaginifica. Se si guarda con attenzione ogni tentativo sembra vano, se si osserva un po’ più a lungo tutto sembra mobilitarsi, finalmente. Le resistenze si diramano ovunque, senza sosta.
Nelle ultime settimane, la Bulgaria è stata teatro di mobilitazioni su larga scala: decine di migliaia di persone hanno manifestato per elezioni trasparenti e un sistema giudiziario indipendente, dopo settimane di proteste contro una legge di bilancio impopolare. La pressione pubblica ha determinato le dimissioni del governo a poche settimane dall’ingresso del Paese nell’area euro, lasciando un vuoto istituzionale in un momento cruciale per Sofia. La scorsa settimana, in Spagna e Francia, le proteste ambientaliste hanno portato a una vittoria: la Fondazione Guggenheim ha annullato un piano di espansione in una riserva naturale basca dopo mesi di pressioni da parte di associazioni e comunità locali. Crescenti movimenti giovanili legati alla Generazione Z sono stati documentati in diversi Paesi, ispirando nuove forme di lotta all’interno del capitalismo della sorveglianza. In Nepal, Messico e Madagascar le proteste si sono concentrate sulla censura digitale, sulla corruzione e sull’incremento del costo della vita.
A marzo, nella zona del Balochistan, in Pakistan, si sono tenute proteste contro arresti e sparizioni forzate, mentre le mobilitazioni in Mali si sono attivate contro la sospensione delle attività politiche da parte della giunta e in Timor‑Leste le manifestazioni studentesche si sono concentrate contro le spese parlamentari. Negli Stati Uniti, è stata significativa l’organizzazione del “No Kings” di giugno, che ha portato centinaia di migliaia di persone nelle strade mentre il Paese scivola nel fascismo. Su scala transnazionale, si sono rafforzate diverse mobilitazioni come gli scioperi globali della campagna Make Amazon Pay, programmati in oltre 30 Paesi per il Black Friday e il Cyber Monday, che hanno segnato una proliferazione di lotte per condizioni di lavoro dignitose mettendo in discussione l’egemonia delle corporation.
Si chiude infine un altro anno di genocidio del popolo palestinese in live-streaming, con decine di migliaia di martiri e combattenti che, nelle parole dell’artista libanese Alaa Mansour, «crescono dal dolore e fioriscono con il sacrificio». Un anno in cui la solidarietà con la Palestina, ovunque nel mondo, ha significato profonda speranza: milioni di manifestanti in piazza, lavoratori a bloccare i porti o sulle flotte per Gaza. Persone che hanno perso tutto per continuare a dire la verità nella certezza che, se non saranno loro a vedere la fine delle ingiustizie, avranno comunque fatto la loro parte. E in questo tramontare emerge forse un sentire comune: la rivoluzione è, sotto ogni punto di vista, impossibile, ma è, nonostante tutto, inevitabile, imminente.
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