Personaggi e interpreti
Come spiegare ai cittadini che devono rispettare le leggi mentre i loro rappresentanti sfuggono?
La lezione dimenticata di Tangentopoli
C'era una volta Tangentopoli. C’erano una volta i partiti che consideravano le istituzioni come un bancomat personale, i salotti del potere in cui le mazzette passavano di mano in mano, i magistrati costretti a inseguire fantasmi protetti dallo scudo dell’immunità parlamentare. Poi arrivò Mani pulite. E il muro di gomma che fino a quel momento aveva protetto i politici da ogni azione giudiziaria crollò, investito da un’ondata di indignazione popolare che spazzò via la Prima Repubblica. Era il 1993 quando il Parlamento abolì finalmente il meccanismo che garantiva l’immunità a deputati e senatori. Fino a quel momento, i magistrati dovevano chiedere l’autorizzazione a procedere per indagare su un parlamentare. Nella stragrande maggioranza dei casi, la risposta era un secco no. Tangentopoli rivelò quanto quella norma fosse diventata il simbolo dell’impunità di una classe politica che si autorigenerava senza alcun freno.
Oggi Forza Italia prova a riavvolgere il nastro, riproponendo senza alcun pudore un ritorno al passato, e rilancia l’idea di reintrodurre l’immunità per parlamentari e membri del governo con la consueta narrazione vittimistica: la politica sarebbe sotto attacco da parte della magistratura, i parlamentari rischierebbero di essere perseguitati da inchieste faziose e strumentali. La giustizia, insomma, diventerebbe un’arma nelle mani di pubblici ministeri animati da furore ideologico. Peccato che la storia racconti altro. Peccato che, da quando l’immunità è stata abolita, nessun esponente politico abbia subito persecuzioni di massa, nessun partito sia stato annientato dai tribunali, nessuna democrazia sia stata stravolta dalle inchieste. Anzi, semmai, si è visto il contrario: politici che, nonostante condanne definitive, sono rimasti saldamente al loro posto, difesi da leggi ad personam e da cavilli burocratici.
Eppure c’è chi, nel centrodestra, cerca di rimettere in piedi una protezione speciale per chi siede in Parlamento e al governo, come se il ruolo istituzionale conferisse un diritto di impunità perenne. Un messaggio devastante in un Paese in cui la fiducia nelle istituzioni è già ai minimi storici. Come si può spiegare ai cittadini che devono rispettare le leggi mentre i loro rappresentanti possono tornare a godere di una corsia preferenziale per sfuggire ai processi? L’ipocrisia di questa operazione emerge con ancora maggiore evidenza se si guarda alle recenti polemiche tra Giorgia Meloni e la magistratura. La presidente del Consiglio ha attaccato il procuratore capo di Roma, Francesco Lo Voi, insinuando che la sua decisione di trasmettere al Tribunale dei ministri la denuncia ricevuta contro di lei e contro due ministri e il sottosegretario Mantovano sia stata una mossa politica contro il governo. Un’accusa paradossale, considerato che a presentare la denuncia è stato un ex esponente del Movimento Sociale Italiano e che Lo Voi è sempre stato iscritto alla corrente di destra della magistratura. È la controprova, se ce ne fosse bisogno, che la narrazione del centrodestra si basa su un vittimismo costruito ad arte. Se persino un magistrato con un profilo moderato diventa un bersaglio, allora è evidente che l’intento è quello di delegittimare l’intero sistema giudiziario. Il tentativo è chiaro: ridisegnare un sistema in cui la politica torna a essere una casta inavvicinabile, blindata dalle inchieste, libera di agire senza il timore delle conseguenze. La lezione di Tangentopoli, a quanto pare, non è servita.