È ora di riportarla a nuova vita, radicarla nei territori, sottrarla alla tentazione di farsi brand. E concepire una letteratura dove chi scrive pensi «questo può essere utile, questo è per te»

La cultura va preservata. E non trascinata nello scontro sulla famigerata egemonia della sinistra

Credo che al ministro della Cultura, Alessandro Giuli, farebbe un gran bene leggere “The Mad Gardener’s Song” di Lewis Carroll, perché il giardiniere pazzo della poesia gli fornirebbe molti spunti per svicolare con arte: in una delle sue avventure incontra un serpente a sonagli che lo interroga sulla grammatica greca, ma il giardiniere si rende conto che siamo a metà della settimana successiva e quindi, spiacente, tempo scaduto, non risponde. Il dramma è che svicolano anche gli avversari di Giuli, che lo attaccano quasi sempre per il suo linguaggio, mentre bisognerebbe sentirsi sollevati se almeno un rappresentante del governo non dice sfondoni invitando le donne vittime di stalking a rifugiarsi in chiesa e in farmacia. 

 

Il problema del ministro, semmai, è cosa dice, non come. 

 

Ci sarebbe anche il problema del dove, in effetti: il ministro non declina inviti, presenzia alla cerimonia dei David come all’inaugurazione del Salone internazionale del Libro, dove promette agli editori cose che si fa prestissimo a promettere, come l’impegno a elaborare una legge. Certo, fa un po’ impressione fare il paragone con i discorsi sentiti a Cannes – che è stata aperta dalla frase di Robert De Niro: «L’arte fa paura ai fascisti» – ma pazienza, anche perché al momento non risulta che a Cannes siano stati manganellati i manifestanti pro-Palestina e quindi il paragone è in effetti improponibile.

 

Del resto, il ministro fa il ministro: ed essendo un ministro di destra risponde malissimo a chi, come Elio Germano, gli chiede fondi per il cinema o a Geppi Cucciari che ironizza su di lui. Anche qui, dovremmo averci fatto il callo, dopo decine di suoi colleghi che mettevano gli scrittori alla gogna o li portavano in tribunale. Ma Giuli voleva presentarsi come il citazionista che viene da un’altra galassia rispetto a Gennaro Sangiuliano: anche lui è però caduto nel trappolone evocando la famigerata egemonia culturale della sinistra in termini di potere e poltrone. È il discorso sbagliato, perché potere e poltrone, per quanto riguarda la cultura, sono semmai obiettivo trasversale e intramontabile dall’era Craxi in poi. 

 

Il discorso da fare – e che se non Giuli la sinistra stessa dovrebbe intraprendere prima o poi – è come rivitalizzarla, la benedetta cultura, come non farne il tableau vivant de “La terrazza” di Ettore Scola, come radicarla nei territori, come sottrarla alla tentazione di farsi brand, perché oggi se Jules Verne scrivesse “Il giro del mondo in 80 giorni” finirebbe sponsorizzato da Costa Crociere (se pensate che sia eccessivo, sappiate che sono usciti cinque libri su papa Leone XIV a dieci giorni dalla sua elezione). Come farla, in una parola, essere finestra e non solo specchio delle proprie vite che si trasformano in libro nella speranza che sia un best-seller.

 

Non si tratta di ritornare alla didascalia dell’impegno, perché quell’epoca ha fatto anche disastri che ancora scontiamo, come l’avvicinare J.R.R. Tolkien a Pierre Drieu La Rochelle (è avvenuto in questi giorni). Si tratta di concepire una letteratura dove chi scrive pensi «questo può essere utile, questo è per te». Perciò, la cosa preziosa di oggi è “Cartella clinica”, che la grande slavista Serena Vitale ha scritto per Sellerio. Un libro breve e familiare, ovvero la storia della reclusione e della morte in manicomio della sorella Rossana, scomparsa senza motivo, e fra molti orrori, a Santa Maria della Pietà nel 1961. Nessun compiacimento, ma la nuda cronaca che ci ricorda che anche questo è accaduto e che nessun diritto è per sempre, purtroppo.

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