L’8 e 9 giugno si gioca una grande partita della democrazia attraverso lo strumento del referendum. È stata una campagna difficile per la censura dei mezzi di informazione – scandalosa quella del servizio pubblico – e per il boicottaggio da parte dei partiti della maggioranza con l’invito a non votare. Prevarrà, sorprendentemente, la partecipazione popolare per fare dispetto a La Russa e al neovicesegretario leghista Vannacci e per affermare la volontà di decidere come cittadini?
Oppure la sfiducia, lo scetticismo e la rassegnazione si confermeranno il nuovo dato antropologico di un Paese devastato? Triste destino, individuale e collettivo, quello di essere sudditi e massa amorfa.
Sul quesito che mira a ridurre il tempo necessario per richiedere la cittadinanza – che rimane una concessione e non un diritto – a cinque anni, come era in Italia fino al 1992, si è esercitata una manipolazione. Si è affermato che una misura presente in moltissimi Stati europei sarebbe un incentivo all’ingresso indiscriminato di una valanga di persone, falsificando la realtà: la norma, infatti, riguarda persone che soggiornano regolarmente in Italia, conoscono la lingua italiana, con un lavoro, che pagano le tasse e senza pendenze giudiziarie.
Contemporaneamente, in occasione del summit internazionale xenofobo svoltosi a Gallarate il 17 maggio scorso, è emerso il consenso della Lega alla cosiddetta remigrazione, cioè alla proposta razzista di togliere la cittadinanza a chi già l’ha ottenuta. Due Italie si confrontano dunque. Se non si raggiungesse il quorum – previsto in Costituzione – di partecipazione al voto della metà più uno del corpo elettorale, sarebbe una prova ulteriore della crisi della democrazia. Non solo di quella rappresentativa, ma anche di quella diretta. Macerie su macerie. Diventerà palese la contraddizione tra la legittimità del voto per le elezioni amministrative e politiche anche quando scarsamente partecipate, e la previsione di un quorum per il voto referendario.
Abolire il quorum è una necessità ineludibile: d’altronde in Svizzera e negli Stati Uniti non è previsto. Non solo, si pone anche il problema del rispetto dell’art. 48 della Costituzione che sancisce il voto come dovere civico. Come si sostanzia tale previsione in modo che non sia una vuota proclamazione retorica? È azzardato sostenere che si può non esercitare un diritto, mentre non si può disattendere un dovere? Senza dubbio un rappresentante delle istituzioni o un membro del governo non può impunemente invitare i cittadini a disattendere un dovere costituzionale violando l’art. 54 della Carta che richiama tutti i cittadini – in particolare chi ricopre cariche politiche – ad adempiere le proprie funzioni con disciplina e onore. La disobbedienza civile è uno strumento di resistenza ma comporta l’assunzione di responsabilità. Non può consistere in una furbizia, nel rubare il pallone per impedire una partita. Soprattutto quando il confronto è su scelte di civiltà e sull’idea di Paese.
Per questo il voto sui referendum è tutto politico, al di là del merito delle proposte di abrogazione di leggi ritenute ingiuste. Il Sì è dunque una manifestazione per una felice convivenza contro il governo della paura, in concomitanza con l’approvazione da parte del Parlamento, con un doppio voto di fiducia, del decreto Sicurezza che travolge lo Stato di diritto e realizza una svolta autoritaria.