Opinioni
30 luglio, 2025Articoli correlati
La donna francese ha denunciato le violenze rifiutando l'anonimato. Non ha testimoniato solo contro un uomo, ma contro un sistema che agisce nei luoghi insospettabili
C’è stato un prima e un dopo Gisèle Pelicot e non solo in Francia. Gisèle ha spezzato le zone grigie del consenso. Non ha cambiato solo la Francia: ha costretto il mondo intero a guardarsi dentro. Non a caso la Bbc l’ha inserita tra le cento donne più influenti del 2024 e, a suggellare il suo coraggio, la Repubblica francese le ha conferito, da qualche giorno, la Légion d’honneur, la più alta onorificenza dello Stato, un atto di giustizia simbolica.
Perché dopo di lei dopo la sua denuncia, la sua testimonianza a volto scoperto, il suo rifiuto dell’anonimato – nulla potrà più essere raccontato come prima. Per dieci anni Gisèle è stata stuprata da uomini reclutati da suo marito attraverso chat online, drogata sistematicamente con ansiolitici e sonniferi che la rendevano incosciente nella loro casa prima a Parigi e poi a Mazan, nella cosiddetta tranquilla provincia francese. I loro figli le sono stati vicini e nella scoperta dell’orrore Caroline ha scritto un libro: “E ho smesso di chiamarti papà”.
Dominique Pelicot, che apriva la porta a sconosciuti per abusare di lei documentando tutto con video e fotografie, per molti era un uomo, un marito e un padre normale, come tanti. In quell’apparente normalità Gisèle, però, aveva avuto dei sospetti, aveva pensato di avere una malattia neurodegenerativa perché soffriva di amnesie, vuoti di memoria, allucinazioni. In aula ha scelto di guardare in faccia il marito e gli altri colpevoli. Con lei, non solo il diritto, ma la vergogna ha cambiato direzione: non più sulle spalle della vittima, ma su quelle del colpevole e di chi ha partecipato o dubitato.
Cinquantuno uomini sono stati condannati, con pene comprese tra i tre e i venti anni. Il marito ha ricevuto la pena massima: venti anni. Fra gli imputati: un giornalista, un infermiere, un idraulico, una guardia carceraria, un consulente, un vigile del fuoco. Alcuni erano già noti alla giustizia per stupro, pedopornografia, violenze. Alcuni sono stati perfino protetti dalle compagne. Per altre famiglie, invece, la vita è cambiata per sempre in questo intreccio di violenza. Il clamore, stavolta, non è durato poco. Le sue parole e il suo volto hanno scavato dentro l’opinione pubblica. Hanno aperto un varco.
Non ha testimoniato solo contro un uomo, ma contro un sistema che agisce nei luoghi insospettabili: nelle case rispettabili, nei letti coniugali, tra persone che si sentono “normali”. Gisèle è stata proposta per il Nobel per la Pace ed è diventata simbolo di un femminismo radicale e necessario, fatto di verità e resistenza. Il suo coraggio non ha solo cambiato il linguaggio, ma il senso comune. Ci ha costretti a rivedere cosa intendiamo per consenso e per abuso.
Onorare Gisèle Pelicot significa riconoscere il valore di una donna che ha portato l’orrore sotto la luce del sole. Una donna che ha reso pubblico ciò che molti continuano a considerare privato. «Erano marito e moglie. Impossibile che non si accorgesse di niente». Le statistiche mostrano che circa il 94 per cento delle vittime di violenza sessuale non denuncia permettendo ai colpevoli di rima- nere impuniti. «La vergogna deve cambiare lato» aveva detto Gisèle e così è stato e sarà, anche per ribaltare questo drammatico dato che è un fallimento culturale e legislativo.
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