Opinioni
1 agosto, 2025Articoli correlati
Una battaglia che si combatte con responsabilità anche nelle parole, nei linguaggi, nelle narrazioni
Con la copertina e il titolo “La terra brucia” nel 1989 “L’Espresso” fu tra i primi a denunciare gli effetti del riscaldamento globale provocato dai cambiamenti climatici. Un impegno del nostro settimanale continuato in tutti questi anni, che si rinnova anche in questo numero e che parte da una verità inconfutabile: il clima sta cambiando, e lo sta facendo a una velocità allarmante. A confermarlo non sono soltanto i modelli previsionali o i dati satellitari, ma anche le conseguenze che ogni giorno osserviamo con i nostri occhi: incendi devastanti, nubifragi e alluvioni ricorrenti, siccità prolungate, migrazioni climatiche.
Eppure, di fronte a un’evidenza tanto netta, il dibattito pubblico è ancora intrappolato in una polarizzazione sterile e pericolosa: quella tra chi chiede interventi urgenti e coraggiosi per contrastare la crisi climatica e chi, invece, continua a negare che esista. Ecco perché la battaglia contro il cambiamento climatico si combatte oggi anche nelle parole, nei linguaggi, nelle narrazioni. Come spiega bene il filosofo Giacomo Marramao nel suo contributo su questo numero, siamo immersi in uno scontro ideologico che coinvolge scienziati, intellettuali, politici e media, sempre più incapaci di costruire un terreno comune.
Da un lato gli “interventisti”, accusati di catastrofismo, dall’altro i “negazionisti”, che rifiutano i dati, minimizzano le evidenze, rimandano le possibili soluzioni. L’ultima pagina nera è stata scritta in Brasile, dove nel luglio scorso il Parlamento ha approvato a larga maggioranza una legge che segna un drammatico passo indietro nella tutela ambientale, indebolisce le normative sulla deforestazione e sull’uso del suolo e riporta il gigante sudamericano indietro di quarant’anni, mettendo a rischio l’Amazzonia e con essa l’equilibrio climatico dell’intero Pianeta.
È un segnale gravissimo, soprattutto se si pensa al ruolo strategico del Brasile nella lotta globale contro la crisi climatica. Negli Stati Uniti, la nuova amministrazione Trump con la chiusura dell’ufficio del National Climate Advisor, creato da Joe Biden nel 2021 come centro nevralgico della politica ambientale americana, ha sancito il tramonto di una politica ambientale statunitense. Quel ruolo che aveva visto protagoniste figure come Gina McCarthy, già a capo dell’Epa, (che intervistiamo in questo numero) non esiste più. Ma lo stesso copione si ripete in altri angoli del Pianeta.
In Argentina il presidente Javier Milei ha abolito il ministero dell’Ambiente e cancellato il termine “cambiamento climatico” dai documenti ufficiali. Le politiche ambientali sono state smantellate e il governo nega apertamente il climate change definendolo una “bugia socialista”. In Russia manca un impegno concreto per la decarbonizzazione o la transizione verso rinnovabili. Infine, in India la crescita economica viene ancora concepita come incompatibile con la transizione ecologica, e ogni tentativo di limitare le emissioni è vissuto come un freno allo sviluppo.
Fortunatamente anche se i negazionisti guadagnano terreno nei palazzi del potere, milioni di persone – comuni cittadini, attivisti, scienziati, giovani – continuano a lottare per il clima. Non c’è una scelta tra interventismo e negazionismo. C’è una sola via percorribile ed è quella della responsabilità e della verità scientifica che da tempo conferma l’esistenza dei cambiamenti climatici provocati dal genere umano.
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