Opinioni
10 settembre, 2025Pechino è sempre più leader dei Paesi emergenti. Grazie alle politiche autolesioniste degli Stati Uniti
Il recente summit dei Paesi emergenti svoltosi in Cina (perché di questo si è trattato) è un altro passo di quella contrapposizione che caratterizzerà il XXI secolo: quella tra i cosiddetti Paesi avanzati (diciamo i G7 e gli altri Paesi attualmente ad alto reddito pro capite) e quella dei Paesi emergenti (diciamo i Brics e gli altri Paesi a reddito ancora relativamente basso). Come andrà a finire? Non vorrei apparire troppo pessimista, ma se non cambia qualcosa il nostro destino è segnato.
Il predominio economico e politico dei Paesi occidentali (perché di questo si parla, tranne per il fatto che il Giappone ormai ne fa parte da tempo) negli ultimi due-tre secoli è stato basato sul progresso tecnologico che ha caratterizzato questa parte del mondo, progresso che si è riflesso in tassi di crescita della produttività (il prodotto per ora lavorata) di gran lunga superiori a quelli registrati dal resto del mondo. Questo predominio in termini di capacità di crescita è durato fino agli ultimi due decenni del XX secolo.
La progressiva globalizzazione economica a partire dagli anni ’80 ha comportato lo spostamento di produzione e conoscenze economiche che prima erano ristrette all’Occidente (e, solo in parte, ai Paesi del Patto di Varsavia) al resto del mondo, portandone a una crescita di reddito e produttività che non ha precedenti, in quanto a rapidità, nella storia economica del mondo. Il caso ovvio è la Cina che negli anni ’80 rappresentava il 2 per cento del Pil mondiale e che nel 2024, in termini di Pil a parità di potere d’acquisto (in sostanza, in termini di volumi di produzione), ha superato gli Stati Uniti del 27 per cento. Più in generale, la produzione dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) supera di circa il 16 per cento la produzione dei G7. Il centro di gravità economico del mondo si è allontanato da noi. Certo, siamo ancora noi quelli “ricchi” in termini di reddito pro capite. Ma questo è più che compensato dalla demografia: la popolazione dei G7 ammonta a circa 800 milioni; quella dei Brics è quattro volte tanto. E i tassi di crescita economica, globale e, in parte, pro capite, di questi ultimi restano strutturalmente superiori ai nostri.
Che fare? In passato l’Occidente ha spesso contato sulla divisione dei Paesi emergenti e sulla mancanza di un chiaro leader tra questi. L’Occidente era più unito, sotto la leadership degli Stati Uniti. Ora le cose stanno cambiando. Da un lato la Cina sembra volersi porre come leader dei Paesi emergenti (il Pil cinese è quasi due volte e mezzo superiore a quello del secondo Paese emergente, l’India) e sta prendendo iniziative per formare un fronte comune, politico ed economico, rispetto all’Occidente. Dall’altro, l’approccio nazionalista trumpiano (“America first”) rischia di dividere l’Occidente, indebolendolo sostanzialmente. Lo stesso approccio tende anche a spingere nelle braccia della Cina i Paesi emergenti che dovremmo invece cercare di attrarre verso di noi. Imporre dazi del 50 per cento su India e Brasile è non solo economicamente ingiustificato, ma sbagliato strategicamente. Quello che occorrerebbe fare invece sarebbe sia rinsaldare i rapporti economici e politici tra i G7 sia prendere iniziative per attrarre verso l’Occidente una parte del mondo emergente. Purtroppo, non sembra questa l’intenzione di Trump, ma forse le recenti mosse cinesi gli faranno cambiare idea.
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