Soldi in nero dalla Svizzera per le tv di Berlusconi? "Ma no... Erano candele. Sembra strano, signor presidente del tribunale, ma ogni tanto io chiamo la banca Arner e mi faccio preparare dei pacchetti che contengono due candele profumate, acquistate dalla segretaria del presidente sotto la loro sede a Lugano. Lei sorride, dottoressa della procura, ma è così: al telefono parlavamo solo di candele". Dopo anni di sospetti, Alfredo Messina, storico manager berlusconiano nel frattempo diventato parlamentare, illumina finalmente con la sua verità uno dei capitoli più oscuri dell'inchiesta Mediaset-Hdc. Un interrogatorio inedito, che ottiene un risultato sicuro: far ridere in aula i magistrati di Milano. E riaccendere un fuoco sul conflitto d'interessi: il Cavaliere continua a dirigere le sue aziende private anche mentre è a capo del governo?
Sono le 10.30 del 28 ottobre quando Messina comincia a deporre sul crack del gruppo Hdc di Luigi Crespi, l'ex Re Mida dei sondaggi, editoria on line e propaganda elettorale (sua l'idea del "contratto con gli italiani" del 2001), sfortunatamente fallito con oltre 35 milioni di euro di debiti. Messina ai giudici si presenta così: "Consulente Fininvest, vicepresidente di Mediolanum, consigliere di alcune società Mediaset come Telecinco... E senatore". Essendo coimputato, potrebbe non rispondere. Invece parla. Vuole (o deve) smentire la ricostruzione dell'accusa su due mesi d'intercettazioni del 2004: le sue telefonate hanno convinto la Guardia di finanza che la fallita società di Crespi fu usata per saldare debiti "di Mediaset", o addirittura "di Forza Italia", con due tv locali. Mezzo milione di euro in tutto, per Berlusconi poca roba, ma pericolosa: "Io ho i documenti, se vado a "L'espresso" li distruggo: qui c'è in ballo la legge Mammì", spiegava Crespi al suo tesoriere. Di qui la richiesta di riavere quei soldi tramite Messina, che Crespi aggancia chiedendo a Deborah Bergamini, ex segretaria di Berlusconi nominata dirigente della Rai (e ora pure lei parlamentare), di far intervenire "il nostro, il dottore".
In tribunale, mentre il pm Laura Pedio gli ricorda la sua paura di essere intercettato, Messina conferma, nervoso, che "Crespi era in condizioni disperate: si aspettava che Mediaset rimborsasse il suo credito". Ma chi è "il dottore" che aveva "concordato" una "prima modalità" per pagarlo? Aiutino del pm: è chiamato anche "il presidente" e "partecipava all'Ecofin". "Il dottore è Berlusconi", risponde a quel punto Messina, "ma dicendo "concordato" ho sbagliato parola: l'ho solo "informato"". Come? "Il presidente del Consiglio mi aveva chiesto di assistere agli sfoghi di Crespi. Ero una specie di orecchio di Berlusconi. Ascoltavo e lo aggiornavo". Ma perché il capo del governo si occupava di Hdc? Mediaset aveva interessi? Messina: "Aveva crediti da recuperare".
Tra i due gruppi, secondo la Finanza, erano girati 50 milioni di euro. Qui va ricordato che la legge italiana sul confltto d'interessi prevede un solo divieto: Berlusconi può restare "mero proprietario" del suo impero, ma non dovrebbe gestire affari privati mentre è premier pubblico. Infatti nel 2006 si lamentava: "Da dodici anni non posso fare neanche una telefonata alle mie aziende". Di qui lo slalom di Messina in aula: "Berlusconi era informato, ma non coinvolto nel recupero crediti".
Ma è vero che Crespi, mentre chiedeva soldi a Mediaset, faceva pesare "con tono ricattatorio" che i pm lo volevano interrogare? "Aveva odio e contava di andare in procura a fare "il piattino", annuisce Messina. E perché pagarlo a Lugano? "Lo chiedeva il suo avvocato, Antonello Martinez, perché Crespi non aveva neanche i soldi per la clinica svizzera". Obiezione del pm: Crespi e Martinez dicono che è a voi che "piace tanto pagare all'estero, alla vecchia cara maniera socialista". Messina s'inalbera: "In Svizzera, ma non in nero". E perché alla Arner? "Abbiamo un fondo d'investimento. E io sono amico di Paolo Del Bue, che è presidente e principale azionista della banca". Martinez, per inciso, all'epoca era consulente del ministro leghista Roberto Castelli: ora su Crespi non vuole testimoniare, "segreto professionale". Del Bue invece era già indagato a Milano nel processo Mills, dove è accusato di aver gestito i fondi neri personali di Berlusconi.
Da un'intercettazione all'altra, si arriva così al 14 luglio 2004, cioè alla vigilia della "pericolosa" convocazione di Crespi dai pm di Hdc. Alle 18.01 Messina chiama Del Bue: "Ciao Paolo... Noi ci vediamo domattina... Nadia può prepararmi una di quelle cose?". Del Bue: "Va bene". Messina: "Perfetto". Per la Guardia di finanza, è il "nero" che Crespi era pronto a ricevere "cash". E la brevità della telefonata conferma che tra manager e banchiere c'è "una prassi ricorrente". Mentre i magistrati preparano d'urgenza una rogatoria, alle 19 Messina parte da Roma, "sull'auto della polizia con l'avvocato Ghedini", confermando a Cesare Previti che sta prendendo "l'aereo aziendale" per andare a Lugano col suo difensore, Giorgio Perroni. Ma alle 19.11 cambia tutto: "Il sottosegretario Valentini ci chiede di tornare da Berlusconi", ricorda Messina. Pm: vi dice di non andare in Svizzera perché pericoloso? "No", giura Messina: "Il presidente voleva solo un documento sulle sue fideiussioni a Forza Italia: centinaia di milioni. Nulla di riservato, però". Quindi il pagamento alla Arner non è saltato per una fuga di notizie? "Nooo. L'ho annullato io più tardi, solo perché ero stanco".
Gran finale. Crespi ottiene da Mediaset un regolare contratto in Italia: mezzo milione. Somma che, nota il pm, "è uguale al credito che stava per incassare in Svizzera". "Casualmente", minimizza Messina: "Coincide casualmente con quello che lui chiedeva, ma il contratto con Mediaset è successivo e diverso"; un modo "legale" per "aiutare il povero Crespi". E perché Messina, fino alla sera del 14, chiedeva a Del Bue "un libretto"? Qui il manager-senatore smentisce pure la trascrizione giudiziaria: "C'è un errore, ho detto pacchetto, non libretto. Volevo il solito pacchetto di candele profumate".