Non esiste un altro leader. Prodi è indispensabile alla sua coalizione. E forte di questo il premier può centrare l'obiettivo prossimo futuro: evitarne il suicidio
Tanti anni fa, incaricato di un'inchiesta sulla Dc siciliana, andai a trovare un deputato della Balena Bianca: Calogero Volpe, doroteo, sette volte parlamentare, uno dei potenti dell'isola. Era un medico massiccio, la voce tonante da vecchio gigione, capace di passare in un amen dall'allegria cordiale alla tetraggine drammatica. Abitava in una bella casa di campagna a Montedoro, provincia di Caltanissetta, fra splendide montagne selvagge. Volpe mi spiegò che la Dc era diventata come la masseria dello curatolo Cicco, dove il primo che si alzava pretendeva di comandare. Gli unici disciplinati erano quelli della sua corrente, i fedeli di Santa Dorotea. "Ma a voi giornalisti i dorotei non piacciono!" sbottò Volpe, "quando scrivete la parola dorotei, è come se scriveste cornuti!".
Il curatolo era un agricoltore esperto, incaricato di sorvegliare il buon andamento di una tenuta. Ma il Cicco dell'immagine proposta da Volpe non aveva il polso fermo. Ragion per cui, la masseria languiva nel disordine. E prima o poi sarebbe andata a ramengo. Quando ripenso alle parole di don Calogero, mi viene in mente il centrosinistra di oggi. Anche nell'Unione tutti pretendono di dettare legge. Al punto che, se mi domando quale sarà la sfida che dovrà superare nel 2007, la risposta che mi viene in mente è una sola: quella di non sfasciarsi e di non morire.
Non so che cosa prevedano gli oroscopi dei politologi, ma a un semplice elettore dell'Unione i pronostici non sembrano per niente buoni. Il famoso Fattore C, che garantisce fortuna incessante a chi lo possiede, riguarderebbe, come vedremo, il solo presidente del Consiglio, Romano Prodi. Ma se da lui si passa a osservare l'assemblaggio caotico dei partiti che lo sostengono, l'orizzonte appare una notte buia e tempestosa.
Proviamo a inoltrarci nelle tenebre dell'Unione, iniziando dalla primavera del 2006. Il centrosinistra era convinto di stravincere le elezioni sull'onda della grande crisi berlusconiana. Sotto le tende unioniste si avvertiva un'euforia elettrizzante. Fu in quel clima di trionfo annunciato che i dieci partiti alleati si azzardarono a mettere nero su bianco un programma ciclopico. Ma dopo il voto, il risultato apparve una mezza catastrofe. Brogli eventuali a parte, la vittoria c'era, però di stretta misura. Appena venticinquemila voti di vantaggio alla Camera. E al Senato un margine di un paio di seggi.
Come succede in politica, la delusione si mutò in voracità. Prodi fu costretto ad allestire un governo obeso: più di cento fra ministri, viceministri e sottosegretari. Alcuni ministeri vennero 'spacchettati', ossia divisi a fette per accontentare le tante bocche da sfamare. E subito ebbe inizio il tormento di una legge finanziaria, scritta e riscritta di continuo, soprattutto per soddisfare le richieste delle sinistre radicali e dei loro capi: i nuovi Ghino di Tacco in divisa rossa.
Passiamo all'oggi, per dare uno sguardo al domani. I partiti dell'Unione si presentano alla sfida del 2007 come un gruppo di maratoneti boccheggianti prima ancora che s'inizi la corsa. Per cominciare, manca un partito forte, in grado di fare da manico dell'ombrello unionista. Il più grande, i Ds, non arriva al 18 per cento. Il fatturato elettorale degli altri è ancora più magro e per alcuni quasi anoressico. Per tutti, poi, l'equazione 'partito piccolo uguale partito unito' non regge più. Viene da rimpiangere il centralismo democratico che governava il vecchio Pci. Adesso il disordine ha preso il posto dell'ordine.
Nei Ds, l'autorità di Piero Fassino deve essere riaffermata ogni giorno. È arcinota la concorrenza conflittuale fra lui e Massimo D'Alema. Per di più, la Quercia sta rischiando una scissione della propria sinistra, che non vuole saperne dell'immaginario Partito democratico. La Margherita è spaccata in almeno due tronconi e logorata da una nube di sospetti sul tesseramento. La Rosa nel Pugno si è già disfatta per il divorzio in atto fra socialisti e radicali. Rifondazione comunista è sgranata in più correnti, impegnate in una guerriglia perenne. I Comunisti Italiani hanno messo nell'angolo il fondatore, l'Armando Cossutta, e i due consoli rimasti, Oliviero Diliberto e Marco Rizzo, si stanno scannando di nascosto. L'Italia dei Valori ha già visto un senatore passare all'avversario. Infine, i parlamentari dell'Unione sono l'un contro l'altro armati sui Pacs e sui temi etici. Qui il conflitto è incandescente anche dal punto di vista dell'eleganza lessicale. Tanto che i laici chiamano i loro vicini di banco "i clericali della maggioranza".
Il risultato dello spettacolo non è di quelli che attraggano gli elettori. Lo rilevano i sondaggi che danno in picchiata l'Unione e in vantaggio i partiti del centrodestra. Si può non tenerne conto, in base al principio che i sondaggi diventano importanti solo quando le elezioni sono alle porte. Si può anche sostenere, come fanno a Palazzo Chigi, che fra sei mesi gli italiani si scopriranno contenti delle misure volute dal governo. Ma è altrettanto legittimo affermare il contrario.
Questo contrario si può riassumere nel modo seguente. Prima di tutto, i benefici della Finanziaria si vedranno, se si vedranno, soltanto sul tempo lungo. Per questo motivo, il governo Prodi continuerà a non soddisfare molti dei cittadini che l'hanno votato. Il tutto produrrà nella maggioranza parlamentare, timorosa d'essere diventata minoranza, un senso d'insicurezza sempre più accentuato. Questo stato d'animo spingerà le frazioni del centrosinistra a una spietata concorrenza reciproca. Allo scopo di conquistare qualche primato sugli alleati, da sfruttare quando si tornerà alle urne.
Ecco perché la sfida del 2007 per il centrosinistra sarà di evitare il suicidio. In questa impresa, l'Unione godrà di tre vantaggi. Il primo sta nella paura di perdere le prossime elezioni. Lavorare nel terrore di una possibile sconfitta non è il massimo per una coalizione. Ma può spingere a contenere i dissensi interni dentro un limite sopportabile. Il secondo vantaggio è la mancanza di un'alternativa credibile di governo nel centrodestra, per ora senza un leader meno usurato di Silvio Berlusconi. E per di più reso debole dal distacco dell'Udc di Pier Ferdinando Casini.
Il terzo vantaggio sta nel premier Prodi. Oggi il Professore non è certo il leader inattaccabile che abbiamo conosciuto nella campagna elettorale. L'incidente del Motor Show di Bologna sarà stato "politicamente insignificante" (Fausto Bertinotti dixit). Ma sul piano dell'immagine si è rivelato un fiasco non da poco. Che ha riattizzato i mugugni degli alleati, pronti più di prima a un rosario di rimproveri. Il Prof è troppo sicuro di se stesso, un solitario che non sa mediare, un tecnocrate poco rispettoso dei partiti, un ruvido incline alle scelte personali. Insomma, l'uomo meno adatto a guidare una coalizione sempre sul punto di sgretolarsi.
Tuttavia Prodi ha ancora parecchie carte da giocare. Mentre i partiti dell'Unione s'indebolivano, lui si è rafforzato, sia pure soltanto sul piano del potere. Che però, in politica, conta molto. Come un ragno caparbio, Prodi sta tessendo in silenzio la propria ragnatela: nelle banche, nelle grandi imprese, nella Rai, nei servizi di intelligence. Ma la carta decisiva del Prof è la sua indispensabilità. In questa legislatura, non esiste alcun premier all'infuori di lui. Gli alleati potranno anche spingersi a odiarlo, però non riusciranno a farne a meno.
Resta da vedere come Prodi, testa quadra reggiana, saprà sfruttare questa rendita di posizione. Obbligherà i compagni di merenda del centrosinistra a sottostare al suo menù? Ossia riuscirà a imporsi come il Dittatore Democratico di un'alleanza fra incompatibili? Anche il Prof, dunque, è di fronte a una sfida da vincere. Con l'aiuto del Fattore C che finora (a parte Bologna) l'ha assistito. Se ci riuscirà, nessuno può dirlo. Il suo futuro è dietro l'angolo. E se stiamo al calendario, comincia domani. Ma sul domani non v'è certezza.