Fassino. Veltroni. D'Alema. Mussi. La coppia Finocchiaro-Bersani. E infine Prodi. Ecco i protagonisti della nascita del Partito democratico. Pronti a fronteggiarsi per la leadership del futuro
Chi verrà ucciso sulla porta d'ingresso del nuovo Partito Democratico? Chi sarà l'assassino? E chi prenderà il posto del morto? Stiamo parlando di un conflitto politico e non di un delitto vero. Ma come succede nei gialli incompiuti, anche in questo, per ora, non c'è soluzione. Manca l'ultima scena, il luogo dove gli enigmi vengono risolti. Quel che oggi possiamo fare è presentare sei protagonisti della storia. Così come li abbiamo visti a Firenze, nel quarto e ultimo congresso della Quercia.
È il Pedalante il primo personaggio. Ossia Piero Fassino, rieletto segretario di un partito destinato a sparire. Pedalante perché pedala da sempre. E adesso fatica quanto non ha mai faticato nella sua vita sempre affaticata. In casa Ds è il vero padre del Pidì. È stato il primo a crederci. Il militante che si è speso di più. E che dovrà pedalare ancora, se vuole che il partito nuovo ce la faccia a nascere.
Ma su Fassino incombe una sorte beffarda. È possibile che, al momento giusto, gli altri oligarchi diessini lo mettano da parte. E spingano verso la leadership del Pidì qualche altro compagno. Siamo al 'pacchetto' di cui ho parlato nell'ultimo Bestiario. Tuttavia, fare il pacchetto al Pedalante non sarà per niente facile.
Fassino non ha nessuna intenzione di mollare il mazzo. Sa di avere contro dei pezzi da novanta come Veltroni, D'Alema e Prodi. Ma è deciso a tenere il punto. Ripete ai suoi: "Se ci saranno le primarie per il segretario del Pidì, mi candiderò anch'io".
Si può capirlo. Lui si ritiene il più adatto a quel compito. Il più concreto. Il più dedito all'impresa. Un'impresa che per molto tempo lo ha visto costruttore solitario. E spesso avversato ai piani alti della Quercia.
Tuttavia, a Firenze il Pedalante ha commesso un errore. Per piacere a tutti, è stato troppo politicamente corretto. E dunque prevedibile. Gli ho detto: "Ti sei comportato come quei fidanzati che vogliono far buona impressione ai futuri suoceri e stanno attenti a non uscire dal seminato". La sua relazione è stata un interminabile Bignami che riassumeva tutto lo scibile della sinistra democratica. Una mitragliata di parole, a cominciare dall'Alfabeto del Nuovo Secolo per finire con il Vocabolario del Pidì.
Parlando come un torrente in piena e per quasi due ore, Fassino ha dato un avallo alle critiche dei suoi avversari interni. Che sogghignavano dicendo: lo vedete?, è un politico superato, troppo vecchio Pci. E nella chilometrica replica, il Pedalante ha fatto anche peggio. Soggiacendo al suo difetto più grave: l'ansia di spiegare tutto sin dall'inizio, che fatalmente si tramuta in una overdose didascalica.
Del didascalismo fassiniano mi è rimasta sul taccuino un'autentica perla: "Il calcio del fucile è di legno non perché dica così la norma, ma perché il legno è più leggero del ferro". Una mezz'ora abbondante per spiegare che cos'è la democrazia. Come si usava nelle scuole del Partitone Rosso, dove si partiva da una parola per arrivare al tetto del cielo. E poi un'altra dissertazione su qualche altro tema. Con un'enfasi quasi masochista. Con il viso disfatto, l'espressione stravolta, il profilo spettrale, la voce ormai rauca.
In quei momenti, ho sofferto per il Pedalante. Quel che vedevo mi confermava il dramma che sta vivendo. Povero Piero!, gli lasciano il lavoro più duro, poi lo fotteranno. È fatale che sia incollerito e rancoroso. E deciso a non lasciarsi mettere sotto. Lo conferma l'avviso che ha dato ai noi dei giornali: "Andate adagio con i coccodrilli anticipati!". Insomma, niente necrologi. Anche se ha aggiunto subito: "Vengo da una buona scuola che ci ha educato a misurare le proprie ambizioni con il progetto da perseguire".
Il progetto, a sentir Fassino, è di fare del Pidì "il primo partito italiano in un paese dove le forze di sinistra non sono mai state prime". Per questo, il Pedalante venderà cara la pelle. Ha spiegato ai suoi: "Adesso viene il bello. Voglio gettarmi a capofitto nella costruzione dei comitati locali per il Pidì. Voglio girare l'Italia. Voglio parlare con la gente". E nel finale ha pianto.
Ha pianto anche il Migrante, ossia Fabio Mussi. Dapprima è stato sferzante sul vertice Ds: "Non sono io che me ne vado, sono loro che se ne vanno", "il nuovo è già decrepito", "la morte del socialismo è una cianfrusaglia ideologica", "il Pidì sarà centrista e americano". E infine: "Non si sentirà la nostra mancanza. Oggi nei Ds ci sono tre correnti, nel Pidì ce ne saranno almeno trentatré".
Eppure, nella speranza vana di trattenere il Migrante, tutti si sono spesi in appelli accorati. Tutti tranne uno, e vedremo chi è. Gli altri si sgolavano in dichiarazioni d'amore. Per oggi e per domani: non andartene, Fabio, ma se te ne vai ci incontreremo di nuovo in futuro. Fassino si è speso in un impegno un po' assurdo: "Quando vorrai tornare non dovrai spiegarci nulla: ci basta che tu venga con noi!".
A quel punto anche il Migrante ha pianto, e poi ripianto, e poi pianto di nuovo. Distribuendo baci e lacrime. Ma il suo commiato è stato un tantino superbo: "Ora ci sono due fasi costituenti. Sarebbe bello un doppio successo!". Una delle fasi sarà quella del suo eventuale partitino. Se lo metterà in piedi, sarà il decimo a sinistra.
L'insegna è: 'Sinistra democratica per il socialismo europeo'. Il Migrante avrà con sé 13 senatori, 23 deputati e 3 parlamentari europei. Se non ci saranno defezioni vistose, il suo sarà il terzo gruppo dell'Unione, dopo l'Ulivo e Rifondazione comunista. Dal suo fortino Mussi potrà guatare (con rimpianto o con disprezzo?) i suoi vecchi amici: sugheri che galleggiano in un mare in tempesta, compagni che sbagliano. Lui, comunque, si terrà lo scranno di ministro dell'Università.
L'Aspirante è Walter Veltroni. Non lo vedevo da tempo. E m'è sembrato inciccionito, autorevole e badiale. Un cardinale sicuro di diventare Papa. Ovvero d'insediarsi al vertice del Pidì. Con qualche cautela, immagino. Dal momento che l'Aspirante ha conosciuto anche la sconfitta. Rammento quella del 1994, primo di luglio. Achille Occhetto s'era dimesso, dopo la batosta elettorale. E si doveva eleggere il nuovo segretario. Due compagni in lizza: Veltroni e Massimo D'Alema.
Quel giorno, alla Fiera di Roma, ci stavo anch'io. Walter era sicuro di vincere. E la stessa certezza aveva il suo supporter: Fassino. Mentre si contavano i voti, Veltroni scherzava con noi cronisti. Sul calcio, pensate un po', e sulla Juventus. Poi la mazzata: eletto il compagno D'Alema. A Firenze, l'Aspirante si è ricordato di quel passo falso? Penso di no. I politici non rammentano mai le sconfitte, non sta nella loro natura.
Così, l'Aspirante ci ha offerto un discorsone pirotecnico. Da 'italiano' che parla 'alla nazione'. Si è presentato come l'ante-marcia del Pidì: "Il Partito democratico io lo penso da dieci anni!". E poi via con la musica: un perfetto Veltroni che incarna come nessuno la banalità del bene. Con l'invito a essere più ottimisti, più veloci, più trasparenti. Sarà lui il leader del Pidì, "una grande forza democratica nazionale"? A Firenze molti giuravano di sì. Dimenticando lo spettro di tredici anni fa.
Quando parlo di spettri non penso a D'Alema. Lui non è in corsa. Lui è il Garante della corsa e del vincitore. Pare abbia detto: "Dove sarà il capotavola del Pidì? Dove mi siedo io". Tra gli oligarchi della Quercia, è il più forte. Prima di tutto per il carattere. Max si definisce così: "A me non piacciono le smancerie, anzi tendo a essere un po' rude". Certo, rude, sprezzante, brutale. Max non piange. Max non bacia. Max non le manda a dire. Max non fa appelli ai compagni migranti.
Infatti il Garante va giù duro anche su Mussi, l'amico di una vita. Gli sibila, a brutto muso: "Ma dov'è la svolta moderata? Dici che abbandoniamo il socialismo europeo. Ma tutti i capi di quel socialismo sono qui con noi. I partiti di sinistra europei puntano a conquistare il centro. Non si governa senza il centro: questo è il socialismo europeo". Poi il monito finale: "Caro Fabio, faremo di tutto per dimostrarti che la tua è una scelta sbagliata".
Ma a Firenze s'è visto anche un D'Alema un tantino nuovo. Capace di autocritica: "Abbiamo scelto tardi la strada del Pidì. La colpa è anche mia: sono stato troppo cauto". E capace pure di una rinuncia: "Non voglio più fare il presidente dei Ds: un orpello ormai inutile". Infine un'offerta al pedalante Fassino: "Io sono a disposizione per un impegno pieno. Lavoreremo insieme". È una promessa o una minaccia? Lo dirà il futuro.
Ed è al futuro che guarda il quinto personaggio: l'Entrante. In realtà, a voler entrare nella prima stanza del Pidì sono almeno in due. Entrante numero 1: Anna Finocchiaro. Ha già coniato il suo grido di battaglia: "Il Pidì o sarà il partito delle donne e dei giovani, o non sarà!". L'Entrante numero 2 è il ministro Pierluigi Bersani: un piacentino secco, esperto, pratico, dal discorso breve, ruvido con i tabù rossi: "Non c'è soltanto il lavoro, c'è anche l'impresa. E liberalizzare è di sinistra".
Dicono che lo sponsor di Anna sia D'Alema. E che quello di Bersani sia Romano Prodi. Già, il Professore. Dopo il quintetto, ecco il sesto personaggio: il Governante. Il premier irrompe nel congresso e saluta, ironico: "Carissimi democratici!". Parla corto e avvisa: "Il Pidì dovrà essere una libera associazione di liberi cittadini, con adesioni individuali e volontarie". Poi annuncia: "Nel 2011, al termine della legislatura, il mio compito dovrà essere finito. Anche questo è il mio contributo al Partito Democratico". Compito finito? Tutti i dubbi sono leciti.
Il premier ascolta l'intervento di Bersani. E lo saluta con due dita alzate, come a dire: vittoria! Il reggiano sosterrà il piacentino? Nessuno può dirlo. Del resto, prima che nasca il Pidì con il suo leader, dovrà passare un anno. Un tempo infinito. Con un vuoto nel quale può accadere di tutto.
Bisogna aspettare. Senza scordarsi che il futuro del partito nuovo, segretario compreso, sta anche in grembo a Prodi. Che si guarderà bene dal dirci che cosa nasconde dietro le sue risatone da emiliano cordiale. Ma anche da vecchio dicì, furbo di tre cotte. n