La Bibbia è in friulano. I fumetti in friulano. Addirittura la Divina Commedia. Sul web trovi Wikipedia e Youtube tradotti. Si chiamano "Vichipedie " e "Viôt-tu". Per strada i cartelli sono bilingui. Indicano Venezia, poi più giù "Vignesje". E spesso capita di vedere i turisti fermi, col motore acceso, e gli occhi fissi sul navigatore satellitare. Bilingue sono anche le insegne sugli edifici pubblici, le targhe sui monumenti, i nomi delle vie e delle piazze. Benvenuti in Friuli, la terra dei poliglotti per legge. La regione italiana dove, fra le lingue ufficiali, è già inserita la parlata locale, il "Furlân". Tutelata fin dal '96 e consacrata tre anni dopo fra gli idiomi riconosciuti dalla Costituzione. Quassù siamo in anticipo di oltre un decennio sulla proposta di Umberto Bossi, che oggi divide l'Italia. Quella di insegnare i dialetti. Sissignori, nell'estremo Nord-est il friulano già si studia a scuola. Ti danno un modulo da compilare, come per l'ora di religione. Ci sono i libri, un migliaio di docenti e ci sono i compiti a casa. Ma ci sono soprattutto contributi a pioggia, erogati nel nome del bilinguismo. Senza troppi controlli.
Parlare friulano è diventato un affare. Sono spuntati enti e associazioni, con tanto di dirigenti e personale stipendiato. Tutti a caccia di fondi. L'agenzia regionale per la lingua, l'Arlef, arruola un presidente, un direttore, un cda di sette membri e un comitato scientifico. Costa in bilancio un milione di euro l'anno. A che serve? "Abbiamo il compito di diffondere la madrelingua, ampliarla, fare da consulenti per la toponomastica e per le scuole", elenca il direttore Massimo Duca. Editano pure una rivista scientifica, "perché i termini matematici vanno aggiornati continuamente", spiega. Ad esempio, "lidrîs quadrade di nûf" è la radice quadrata di nove. Al contrario dei finanziamenti, che crescono esponenzialmente.
Nel 2009 la Regione ha messo a bilancio 4,4 milioni di euro, e saranno di più nel 2010. È un importo di quasi cinque volte superiore al '96, con tutto che da Roma trasferiscono molto meno di una volta. "Finora sono stati impegnati circa 35 milioni di euro", calcolano gli uffici di Trieste. E con risultati non sempre brillanti. Come per il vocabolario ufficiale, il "dizionâr bilengâl", già costato un milione e mai finito. Dopo dieci anni non ne esiste una sola copia su carta. "Per ora è consultabile sul web", ripetono gli esperti. Avanti di questo passo, serviranno altri 13 anni (e relativi milioni) per completarlo.
Se fate un giro al palazzo della Regione, poi, vi imbatterete nell'interprete di friulano. Sta chiuso in cabina col collega sloveno e le cuffie addosso. Fanno mille euro a seduta. Bene, su cinquantanove eletti, in aula parla friulano soltanto uno, il leghista Enore Picco, per qualche decina di minuti a semestre. Viene tradotto in simultanea, poi si risiede e conversa tranquillamente in italiano coi colleghi. Che ci sia uno spreco di denaro pubblico, dopo anni di tutela fatta a questo modo, lo denuncia perfino il presidente del consiglio regionale, Edouard Ballaman, anche lui leghista, lo stesso che ha chiesto (e ottenuto) i sottotitoli nel colossal di Renzo Martinelli sulle gesta di Marco D'Aviano. Va bene la cultura locale, borbotta, ma quando è troppo è troppo. "Il mio partito spinge, assieme alla sinistra. Devo dire, però, che si esagera un po'. Avevo proposto un servizio di traduzione a chiamata, solo quando serve, ma il consiglio non ha voluto. È inutile contestare il Sud, per poi buttare i soldi".
Eresie, per il gotha padano. Che, al contrario, ha chiesto all'assessore alla cultura Roberto Molinaro dell'Udc di spingere per una nuova legge. Saranno valorizzati tutti i dialetti della zona, una decina almeno. Vanno dal triestino, al gradese, al dalmata, al muggesano, al bisiaco della provincia di Gorizia. "Ognuno ha la sua lingua", si giustificano in Regione. E quelle lingue si dovranno parlare anche in pubblico e alla televisione.
Sì, mentre a Roma Bossi appena ci prova a sottotitolare in dialetto le fiction della Rai, da queste parti la tv bilingue trasmette ormai da anni: programmi in friulano, usati spesso come mezzi di propaganda degli stessi enti pubblici che li sovvenzionano, strisce protette e notiziari in lingua. Con gli autonomisti che protestano, perché si dovrebbe osare di più. E "Roma ladrona" che, al contrario, mette un freno.
Il business linguistico è bipartisan. Inaugurato dalle giunte leghiste dopo Tangentopoli, ha trovato terreno fertile col centro-sinistra. Riccardo Illy ha addirittura riscritto la legge e introdotto il cosiddetto friulano veicolare (l'insegnamento a scuola delle altre materie in friulano) e il silenzio assenso (si insegna a tutti, a meno che non sia chiesto il contrario). Modifiche che però la Corte costituzionale ha cassato. "C'era il rischio di un regime di biliguismo obbligatorio", denunciarono prima il governo Prodi, poi quello Berlusconi. "Sprechi in effetti ce ne sono", ammette anche l'assessore. "E a settembre scriveremo nuove regole, non si deve più fare propaganda ". Come fu con la legge sui celti, voluta dall'ex governatrice leghista Alessandra Guerra, oggi nel Pd. Stanziò quattro miliardi di lire nel 2000, scatenando la gara fra associazioni, spesso targate Carroccio. "Tutto era partito come tutela di un patrimonio pubblico, la lingua. Poi si è trasformato in un contributificio", denuncia Sergio Cecotti, il leader autonomista che, da governatore, firmò la prima legge del 1996. Con un rischio persino più drammatico degli sprechi, secondo lui, "e cioè il ridicolo".