«Lo conosco bene: il padrino dei Corleonesi ci ha detto di farlo eleggere in Parlamento». Giacomo Greco, pentito di Cosa Nostra, racconta come dieci anni fa le cosche abbiano deciso di far decollare la carriera politica di Francesco Saverio Romano. Che secondo la procura di Palermo si era messo a disposizione per servire gli interessi dei clan

Gli sponsor di Romano: Alfano e Schifani

Lo scorso dicembre Saverio Romano ha capeggiato un gruppetto di fuoriusciti dall'Udc per votare la fiducia al governo Berlusconi, che in questo modo ha ottenuto la maggioranza. Fino a quel momento Romano aveva seguito il percorso politico di Pier Ferdinando Casini e Salvatore Cuffaro, ma gli esponenti siciliani del Pdl più vicini al premier - dal presidente del Senato Renato Schifani all'ex Guardasigilli Angelino Alfano - hanno sponsorizzato l'ingresso di Romano nel governo.

L'inchiesta per mafia ancora pendente non ha creato imbarazzo ai politici siciliani che frequentano Palazzo Grazioli. Sarebbe stato fatto notare a Berlusconi che "accuse di mafia sono state rivolte pure a cariche istituzionali importanti": oltre allo stesso premier, che venne indagato a Firenze, si ricordano Nicola Cosentino, che non si dimise da sottosegretario fino alla richiesta d'arresto, e infine lo stesso Schifani, sotto accusa a Palermo.

Il Quirinale alla vigilia della nomina aveva espresso riserve, "nei modi e nei tempi istituzionali dovuti". Invece il 22 marzo il blitz va a segno in poche ore. Berlusconi la spunta sulle resistenze e Romano diventa ministro dell'Agricoltura. Ma l'accelerazione crea un incidente diplomatico senza precedenti che rasenta il conflitto istituzionale. E raffredda ancora di più i rapporti tra Palazzo Chigi e il Colle. Nel colloquio di dieci minuti che Berlusconi, accompagnato da Gianni Letta, ottiene con Napolitano prima del giuramento, il capo del governo insiste sulla nomina: si dice certo dell'innocenza di Romano, garantisce per lui, confida nell'imminente archiviazione.

E mentre Berlusconi, Letta e Romano scendono dal Colle, dagli uffici del Quirinale parte la nota che gela il premier. Napolitano non pone un veto ma conferma di aver assunto informazioni "sul procedimento a carico del ministro per gravi imputazioni". E le "riserve sull'opportunità politico-istituzionale" nascono dal fatto che il gip "non ha accolto la richiesta di archiviazione dei pm".

Ma in assenza di "impedimenti giuridico-formali" si procede, in attesa "che gli sviluppi del procedimento chiariscano al più presto l'effettiva posizione" del ministro. Messaggio chiaro: il Colle avrebbe preferito attendere il verdetto del gip. Ma Berlusconi non poteva aspettare un giorno di più, o i "responsabili" lo avrebbero abbandonato.

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