Chissà se l'eroe dei due mondi stia sorridendo beffardo. Perché in piazza Giuseppe Garibaldi – detta anche 'Il Garibaldino' – pieno centro di Varese e dell'egemonia leghista, si consuma l'ultimo affondo nella guerra interna al partito di Umberto Bossi. Uno scontro sempre più feroce che mina il futuro della macchina da guerra leghista, proprio nel momento di transizione più grave della seconda Repubblica, esattamente nell'anno in cui si celebra il 150° anniversario dell'unità d'Italia.
In piazza Garibaldi infatti, sopra il celebre 'Caffè Biffi' ritrovo della Varese altolocata e possente, sorge il balcone della sede leghista cittadina. Nel fortino ormai da tempo in mano ai maroniani - i sostenitori del ministro dell'Interno Roberto Maroni - la settimana scorsa è stato appeso un manifesto di vecchia data che recita: 'Prostituzione e pornografia Alt!'. Esposto qualche ora dopo l'affondo del capo della Cei, monsignor Angelo Bagnasco, contro lo stile di vita del premier Silvio Berlusconi.
E da qualche tempo nulla è lasciato al caso: di questi tempi, nella Lega, tutte le azioni sono emblematiche dello scontro per la successione a Bossi tra i fedeli a Maroni (vedi Flavio Tosi, Giancarlo Giorgetti...) e gli scudieri del cosiddetto 'cerchio magico', l'enclave che protegge il Senatur (vedi la moglie Manuela Marrone, Rosi Mauro, Marco Reguzzoni...).
Il manifesto attacca pubblicamente l'alleanza con Berlusconi e proviene dal cuore pulsante del partito, la stessa Varese dove il 12 aprile 1984 Bossi firmò davanti al notaio la nascita della Lega Lombarda e dove tutt'ora vivono alcuni big del partito. E che fa da proscenio alla possibile resa dei conti tra le due fazioni avverse: domenica prossima, infatti, oltre 300 delegati si riuniranno nel capoluogo insubre per eleggere il nuovo segretario provinciale leghista.
Varese: una provincia da 884 mila persone, dove la Lega Nord è da 17 anni il partito dominante. Ma adesso tutto è cambiato: il rapporto viscerale tra Bossi e la base sembra essere finito, e il motivo, come nelle grandi storie d'amore, passa per il 'tradimento' del Senatur. «In questo momento la base è incazzata nera», racconta il leghista Matteo Bianchi sindaco di Morazzone, «bisognava tornare alle urne quando se ne andò Fini, eravamo fortissimi...e questa chance persa, ancora oggi, la base non la comprende. La gente non è mai stata così delusa da quando sono nella Lega, cioè dal '96. La militanza mette in discussione i vertici. E a Varese le elezioni per la segreteria provinciale sono per Bossi quello che le amministrative di Milano sono state per Berlusconi: un test sulla leadership. E Bossi l'ha capito».
La pensa così anche Enrico Baroffio, sindaco leghista di Vedano Olona: «La grandezza di Bossi è stata quella di interpretare gli umori della base, e oggi la base sembra voler esprimere la propria indipendenza. Forse il leader non interpreta più questo sentimento. E in questo scenario Varese rappresenta un passaggio chiave».
Parole pesanti, che un tempo i leghisti non avrebbero azzardato sull'intuito del lider maximo. Proprio come racconta un noto leghista varesino che preferisce l'anonimato ma usa i canonici toni coloriti: «E' sempre stato così nella Lega. Se uno dice parole sbagliate, magari contro il capo, puoi anche essere Gesù Cristo ma dopo due giorni ti ritirano la tessera e via a calci in culo».
Lo sa bene Maroni, che nel 1994, quando i sondaggi lo davano avanti al Senatur, criticò Bossi. Al congresso federale successivo apparì uno striscione: «La Lega ce l'ha duro e i maroni ce li ha sotto». E in men che non si dica il titolare del Viminale fece dietrofront: «Bossi ha sempre ragione». È questo che si rimprovera a Maroni, «non ha le palle per fare la guerra», spiega la stessa fonte. Eppure i soldati ce li ha: i maroniani a Varese sono la stragrande maggioranza. Ed ecco come si arriva alle elezioni del segretario provinciale di domenica.
Una votazione che in altri tempi avrebbe visto un plebiscito verso l'uomo bossiano, ma che dopo la disfatta in Valcamonica e la fatal Brescia per i candidati voluti dal 'cerchio magico' può riservare sorprese. In questo clima da 'sfida all'ok corral' tra i vertici nazionali, si scontrano i candidati insubri. «Qui a Varese abbiamo Leonardo Tarantino, sindaco di Sammarate, maroniano», spiega Alessandro Vedani, esponente della Lega varesina, «uno che ha contribuito a gestire il territorio durante la malattia di Bossi, legato alla base. Mentre il capo ha appoggiato direttamente un candidato come Canton, uno che è stato eletto con le liste civiche, non con i simboli della Lega. Forse le informazioni che arrivano a Bossi sono un po' troppo filtrate: Canton non ha il sostegno della base. E far intervenire il segretario federale su una questione così locale forse non è stata la scelta più opportuna».
Canton è stato caldamente suggerito dall'eminenza grigia del 'cerchio magico', il capo dei deputati leghisti Reguzzoni. «E' stata una forzatura questa scelta calata dall'alto: si spostano gli attriti di vertice sulla base. Anche l'altro candidato, quello del senatore Fabio Rizzi, Castiglioni Donato, è stato calato dall'alto...qui c'è tanta tensione, il risultato è che chiunque prevalga ci sarà una spaccatura perché vincerà una fazione. Devo ammettere che Rizzi e Reguzzoni hanno fatto un po' di casino».
Il senatore Fabio Rizzi, popolare sul territorio, ha chiuso così la polemica su un quotidiano locale: «I delegati alla fine voteranno per Canton, perché perché l'ha detto Bossi. Non è mai successo che si votasse contro di lui, né mai succederà». Almeno fino a domenica prossima. Supporter di Tarantino è anche il sindaco leghista di Sesto Calende, Marco Colombo: «Spero che domenica ci sarà un'elezione democratica: qualsiasi segretario scelto dalla base sono pronto a seguirlo fino alla morte. Certo, se Canton vincesse perché gli altri sono obbligati a seguirlo lo farei comunque...».
Ma lo spirito sarebbe diverso.
Si vocifera che per non far esplodere il conflitto tra i due candidati, si stia cercando di far ritirare Castiglioni Donato e Tarantino dalla competizione. Ma secondo diverse fonti, si rischierebbe di avere 70 voti a favore di Canton e oltre 200 schede bianche: perché la scelta di Bossi non va proprio giù a Varese.
Tant'è che mercoledì sono stati chiamati telefonicamente uno ad uno i 319 delegati: l'establishment teme defezioni. E il sentore comune non è un segreto: «Io sicuramente mi oriento su Tarantino che è l'espressione della Lega con la faccia pulita», riprende Bianchi, «Ai vertici pensano a cose differenti da quelle che sono gli interessi del cittadino o del singolo militante. Noi dobbiamo dimostrare di essere diversi dal Pdl: ci appiattiamo su ogni posizione per sostenere Berlusconi, come il voto su Milanese».
Anche Baroffio condivide l'analisi sul candidato maroniano. «Tarantino è dato vincente. Ma per fare la pace si parla del ritiro di entrambe le candidature. Perché la scelta di Canton? Reguzzoni forse non aveva altri uomini da candidare. Forse perché ha perso un po' il legame con il territorio. D'altra parte, il motivo della contesa è proprio la romanizzazione dei vertici, un problema che non riguarda solo Reguzzoni...».
E il tempo adesso è finito: i sondaggi danno la Lega in flessione, ma soprattutto i dirigenti locali segnalano il calo affettivo della base verso il partito. Per questo, la sfida di Varese potrebbe scatenare effetti devastanti per la leadership del Senatur.