Debiti pesanti. Spese sbagliate. Bilancio in utile solo con cessioni straordinarie e grazie all'aiuto delle municipalizzate. Un economista dà i voti al sindaco di Milano. E suggerisce cosa fare

Cinque anni di scelte sbagliate

La gestione delle partecipazioni e del bilancio comunale da parte della giunta Moratti è pessima, se non disastrosa. Non lo dico io, lo dicono loro, i revisori di Palazzo Marino (Fabrizio Pezzani, Stefano Bellavite Pellegrini, Orlando Vetrano). Sono loro a invitare il sindaco di Milano uscente a "prendere coscienza della particolare gravità in cui versa la finanza pubblica", a incitarlo a vegliare sul governo delle partecipate affinché "sia coerente con le finalità statutarie", a chiedere (ma lo avevano già chiesto lo scorso anno) che i dividendi delle partecipate vengano usati per gli investimenti e non per la spesa corrente. Senza componenti straordinarie da cessioni di beni, il conto economico del Comune sarebbe stato in rosso, di 22,8 milioni, il risultato peggiore di questi ultimi tre anni. È vero che i trasferimenti da Roma sono calati di 37 milioni, ma tale calo è quasi bilanciato da un balzo del gettito Ici (più 29 milioni). Il risultato ordinario della gestione dell'azienda comune sarebbe in negativo di 41 milioni, un risultato pessimo e fuori linea con la sempre equilibrata tradizione del bilancio del Comune di Milano.

Si sono quindi aperte le chiuse della spesa corrente e il fiume si è messo a correre tumultuosamente in direzione sbagliata. La cattiva situazione spinge l'azionista Comune al tipico comportamento degli azionisti che hanno bisogno di soldi: a spremere dalle società partecipate dividendi sempre più alti, senza domandarsi se questi sono sostenibili dalle partecipate stesse. Ma tant'è: i debiti del Comune saliti a un livello pesantissimo (4,2 miliardi) richiedono dividendi sempre più alti (120 milioni è stato l'ultimo stacco di cedole). E sulle partecipate i revisori dicono parole che pesano: "Si raccomanda di verificare l'allineamento tra obiettivi statutari e reali per non indebolire le prospettive economiche, nel medio e lungo termine delle aziende stesse". Essi raccomandano inoltre una costante "verifica del perimetro delle società a valenza strategica" per evitare di profondere risorse in partecipazioni senza obiettivi realmente pubblici. Secondo i revisori, molto giustamente, i dividendi delle partecipate non sono una rendita, "non sono da considerarsi come entrata ordinaria perché legata ad andamenti gestionali non prevedibili". In particolare che senso ha far pagare un dividendo di 55,5 milioni a una società come l'Atm (trasporti), che tanto deve fare e investire per migliorare la mobilità urbana ed extraurbana?

"La nostra politica di dividendi non è stata aggressiva" ha detto recentemente in un'intervista al "Sole 24 Ore" la signora Moratti. Forse è viziata da abitudini di casa sua, ma prelevare 464 milioni di dividendi dal 2007 al 2010 è non solo una politica aggressiva ma dissennata. Lo dimostra la stessa A2A (energia), la società più ricca, che ha pagato, nello stesso periodo, 281 milioni di dividendi e che si trova con un debito globale intorno ai 4 miliardi, che richiede un forte cambio di indirizzo strategico.

La A2A nasce il primo gennaio 2008 dalla fusione tra Aem e Asm, le due municipalizzate di Milano e di Brescia. Allora chi scrive era membro del consiglio di amministrazione di Asm ed espresse l'unico voto contrario alla fusione, non per l'operazione di aggregazione in sé che mi vedeva favorevole, ma per i principi e criteri con i quali la fusione era impostata e condotta.
Questi motivi furono chiaramente espressi in una dichiarazione di voto e in un documento che appare oggi, purtroppo, per tanti versi, profetico. Tra i vari temi coperti dal documento mi concentro qui sulle ragioni di strategia societaria, sulla scelta tra "la strategia del predone" sostenuta da Giuliano Zuccoli (attuale presidente del consiglio di gestione A2A) e quella comunitaria sostenuta da me. I Comuni-azionisti dovevano scegliere, e non scegliendo hanno dato via libera al management, schierato per la strategia del predone. Una strategia non solo sbagliata, dal punto di vista dell'azionista Comune, ma terribilmente velleitaria.

Il risultato è che ora, come ha scritto Alessandro Penati su "Repubblica" (11/9/2010), la "A2A è un'accozzaglia al quadrato". Da allora ha distrutto valore (- 65 per cento), molto peggio dell'indice delle utilities europee; ha accumulato oltre 4 miliardi di debiti, un macigno al collo che rende difficile qualunque strategia e la colloca nei più bassi livelli di rating nel settore in Europa; ha effettuato investimenti dissennati, sia in Italia sia, soprattutto, all'estero, che hanno potentemente contribuito all'indebitamento; ha una partecipazione importante in Edison, assunta nel 2005, controllata dal gigante francese Edf, e che ha ormai natura solo di partecipazione finanziaria dalla quale A2A dovrebbe uscire al più presto; ha una struttura di governance sgangherata, inefficiente e politicizzata.
Nel frattempo la A2A ha letteralmente distrutto il gioiello nazionale delle municipalizzate che era la Asm di Brescia. Se non fosse che ciò comporta una grande distruzione di ricchezza nazionale e lo svuotamento della più importante azienda bresciana, ci sarebbe quasi da rallegrarsi che i bresciani siano stati puniti per la loro stupidità. Ma in molti hanno contribuito a questo disastro. Dalle banche d'affari, ai professionisti, ai ministri del governo Prodi.

Il nuovo sindaco, che mi auguro non sia la Moratti, potrà correggere la rotta, vendere la Edison, ridurre gli spropositati costi di struttura, ritornare a una sensata strategia comunitaria, mettere un management rispettoso del proprio ruolo e di quello dell'azionista. Altre cose dovrà fare il nuovo sindaco, per altre aziende comunali come l'Amsa, un fortilizio di alcuni partiti, che doveva far partire, insieme all'ex Asm (numero uno nella gestione dei rifiuti) un progetto industriale di grande respiro del quale niente si è più saputo, mentre i cittadini milanesi pagano corrispettivi molto alti in questo settore; come per la società che gestisce malamente l'inquinatissima azienda dell'Ortomercato che deve essere trasformata in società consortile affidata ai maggiori e migliori (che vuol dire non mafiosi) operatori del settore. Altre società devono semplicemente essere liquidate o svendute: per esempio l'Autostrada Serravalle, partecipazione inutile, che il Comune dovrebbe vendere anche a rischio di essere accusato di fare una svendita.

È giusto quotare la Sea, che sembra la società partecipata più correttamente gestita. Così come è corretto, lasciando abbaiare i talebani del liberismo, che il Comune si impegni anche direttamente in sviluppi nuovi che rispondano ai bisogni correnti. Così in primo luogo nel settore dell'abitare sostenibile. Il Comune deve affidare il suo anchilosato Demanio a una società per azioni costituita insieme a un operatore imprenditoriale, per realizzare una gestione più dinamica e positiva dello stesso, ma al contempo deve investire in una nuova società di sviluppo immobiliare per creare abitazioni (non popolari ma normali!) da affittare a canoni sostenibili, con priorità per le coppie giovani. Così come il Comune può diventare socio promotore di centri di ricerca dove si realizzi quell'economia della conoscenza che è fattore chiave del dinamismo di una città. Quando creò l'Aem, l'aeroporto, la Centrale del Latte, le farmacie, il Comune fece opera, per il tempo, altamente innovativa e altamente utile. Ora deve vendere le attività che non rispondono più a bisogni attuali (come bene ha fatto, ad esempio, con la Centrale del Latte), ma trovare le risorse per investire, da solo o con soci privati, in attività che rispondono ad attuali bisogni primari della città e che rafforzano il suo inserimento nell'economia della conoscenza e nelle reti qualificate internazionali.

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