Se le parole sono la conseguenza delle cose; se con le parole definiamo il mondo; se alle radici della nostra cultura c'è la parola (in principio era il Verbo), allora bisogna indirizzare l'attenzione verso un termine emblematico, rivelatore e in questi giorni usato nella sua riduttiva accezione burocratico-istituzionale: decadenza.
Silvio Berlusconi, piaccia o no, al suo apparire nella vita imprenditoriale, mediatica e infine politica, aveva incarnato il concetto stesso di modernità. Dove la frase va intesa senza coloritura di valore. Moderne erano le sue televisioni quando estrassero il Paese da un obsoleto monopolio (sui modelli che diffusero e diffondono meglio stendere un pietoso velo). Moderna la gestione manageriale di una squadra di calcio che dominò la scena. Moderno persino il partito personale che faceva scoprire le tecniche del marketing applicate al consenso, tanto da far coniare a un osservatore acuto dei fatti nostri come il francese Marc Lazar, per Forza Italia e non solo, la definizione dell'Italia come “laboratorio politico”. Il Cavaliere ci mise del suo nell'autoproclamarsi “il nuovo” (e il precedente è clamoroso: Mussolini non diceva altro nei comizi).
Nell'autunno del patriarca, il vocabolo “decadenza”, variamente declinato e inteso, sostituisce “modernità”. E quella dal laticlavio senatoriale, tanto furiosamente difeso, è la meno significativa, in una parabola che ha assunto la verticalità del precipizio.
Decadenti erano le “cene eleganti” di Arcore così come le raccontano le protagoniste e le cronache giudiziarie, nel loro tripudio da corte del Basso Impero. Decadente il Milan che, dopo aver indicato la strada del calcio-business, ha permesso ad altri di raccogliere il testimone del primato di efficienza e spettacolo ed è squassato da una lotta intestina tra eredi di sangue e vecchi sodali. Decadente Mediaset, ancorata agli schemi del felice pionierismo e sorpassata da altri media di cui fatica a tenere il passo. Decadente il consenso elettorale (meno sei milioni di voti) pur se ancora pingue se parametrato sulle ventennali promesse non mantenute di prosperità, benessere, ricchi premi e cotillons. Decadente la sua leadership che ha subito l'onta della scissione edipica di Alfano e quella opportunistica di una serie di altri figuri: succede sempre, alla fine di una parabola. che i commensali si alzino e vadano in cerca di altri deschi.
[[ge:rep-locali:espresso:285112456]]
Berlusconi è stato un quarantenne sorridente e fortunato, che ha fatto un sacco di soldi partendo da soldi di misteriosa natura. Un cinquantenne anche coraggioso con alcune intuizioni su dove lo poteva condurre l'importazione (peraltro fallita) di un'ideologia reaganian-thatcheriana che prometteva agli italiani di liberarsi dal giogo dello Stato-padrone (la famosa Forza Italia delle origini di cui tutti parlano ma nessuno sa cosa sia). Un settantenne-satiro affetto da una acuta sindrome di Peter Pan. Ora un quasi ottantenne incattivito per gli attentati di lesa maestà di cui si sente vittima e perché vede sfilare via la prerogativa di ogni titanismo: la forza intrepida, caratteristica degli eroi iconograficamente giovani e belli.
Altro non gli resta se non le minacce e, novello Tiresia, i vaticini di future sventure, come quell'incredibile “salvatemi o vi pentirete” rivolto a Pd e 5 stelle, che esprime, anziché il potere che vorrebbe spigionare, una debolezza supplice che confina con la noia di doversi ancora occupare di lui.
Nemmeno Berlusconi, aldilà di una pubblicistica compiacente, può sfidare la carta d'identità. Nemmeno lui può essere il camaleontico interprete di tutte le stagioni in un pianeta che corre veloce e alla modernità, la sua modernità, ha già sostituito una post-modernità che viaggia su Internet, non più in tv, riscopre le fibrillazioni anarcoidi ma vitali (benché ancora mal incanalate) di una democrazia partecipativa che anela al bene comune dopo che si sono acclarati i guasti di un liberismo selvaggio a pro dei pochi. Può solo, nell'ennesimo sforzo di apparire centrale, avvelenare ancora di più i pozzi della vita pubblica che toccherà purtroppo ad altri bonificare. Perché dopo la decadenza c'è sempre una ripartenza.