I 'malpancisti' democratici alla fine si sono tutti spaventati. Loro invece non hanno ceduto. Chi per coerenza, chi perché si è già dimesso da parlamentare

Alla Camera soltanto due deputati del Pd alla fine non hanno votato la fiducia al governo Letta.

Uno è stato Giuseppe Civati, come lui stesso aveva anticipato pochi giorni fa proprio all'Espresso. Civati non ha partecipato al voto spiegando che nel partito chi ha affossato Prodi mirava proprio a questo risultato: «Qualcuno voleva questa soluzione, per capirci e l'ha voluta fin dall'inizio. E' stata una decisione presa nell'ombra di un voto segreto e non in un dibattito in cui sì, ci si poteva dividere e discutere, ma almeno avremmo capito qualcosa di quanto stava accadendo». 

Sul futuro del governo Letta, Civati è netto: «Il mio è un giudizio negativo e pessimistico, ma ho preferito non dichiararmi contrario in aula proprio per evitare una rottura che non è certo il mio obiettivo».

Quel che è certo è che Civati in questo momento sta incarnando un sentimento diffuso nella base del partito, molto più di quanto il voto parlamentare faccia credere. L'altro deputato del Pd che non ha votato la fiducia è meno noto: Davide Mattiello, torinese, 41 anni, alla sua prima legislatura, proveniente dal volontariato cattolico e dalle lotte contro le mafie (è stato referente in Piemonte di 'Libera').

Sul sito dell'associazione di cui è attivista, 'Benvenuti in Italia', Mattiello ha scritto: «Alla formazione di questo governo obiettano la mia coscienza, la mia storia, le ragioni per le quali ho accettato la candidatura nel Pd come indipendente». E poi: «L'unica pacificazione nazionale possibile è quella che passa attraverso la verità, giudiziaria e storica. Non c'è altra via alla Terza Repubblica. Ho messo a disposizione le mie dimissioni dal Gruppo parlamentare Pd»

Al Senato, la situazione non è molto differente. Dopo che anche Laura Puppato ha deciso di votare la fiducia al governo Letta, i dissidenti sono rimasti due. Il primo però più che un dissidente vero e proprio è un assente per dimissioni. Infatti, Ignazio Marino ha deciso di non presentarsi in Senato per il voto al nuovo governo: «Auguro buon lavoro al Governo Letta. Da Senatore dimissionario non partecipo alle votazioni per la fiducia. Ora devo occuparmi di Roma». 

Non una sfiducia aperta, quindi, anche se in più di un'occasione - e pure in una recente intervista all'Espresso - il chirurgo si era detto contrario a «qualsiasi forma di collaborazione» con il Pdl e con Berlusconi. Del resto Marino in questi anni si è caratterizzato per un profilo nettamente di sinistra, in particolare sui diritti civili. Temi che appaiano tabù per questo esecutivo. Inoltre nella coalizione che appoggia Marino sindaco di Roma c'è anche Sinistra Ecologia e Libertà, che sta a livello nazionale all'opposizione del governo Letta.

Al Senato l'altro esponente del Pd che non voterà la fiducia è una donna, Lucrezia Ricchiuti. Alla prima legislatura, Ricchiuti ha 56 anni e da oltre dieci è consigliere comunale a Desio, in Brianza, dove ha fatto della legalità e della lotta alla corruzione la sua bandiera. Per lei, dicono i colleghi, votare un governo con il Pdl, il partito di Berlusconi e del suo amico Marcello Dell'Utri è assolutamente impossibile. Anche lei, come Mattiello, è vicina a Libera, l'associazione di Don Ciotti e ha anche firmato l'appello contro la corruzione lanciato proprio dall'associazione antimafia.

Ricchiuti ha annunciato tramite un comunicato la sua intenzione di non partecipare al voto: «Dopo un'attenta e sofferta analisi, ma fedele alla mia storia politica personale incentrata sulla lotta per la legalità e il rispetto delle regole, ho deciso che non posso avallare la nascita di questo governo che ci vede alleati con coloro che ho sempre combattuto». La senatrice democratica sulla sua pagina Facebook, l'unica tra quelle dei dirigenti democratici ad essere piena di complimenti e attestati di stima in questo periodo, è stata ancora più esplicita e severa: «Il governo Letta-Alfano è un governo democristiano. E' il governo Vedrò».

E poi ancora più dura: «Si sono dimessi tutti, ma il vice del capo, che ha contribuito insieme al capo e agli altri alla nostra Caporetto è diventato presidente. L'altro presidente, l'ottuagenario è diventato contemporaneamente presidente e segretario del partito. Un capolavoro, roba da miglioristi. I nostri otto punti ce li mettiamo in quel posto, meglio che niente dirà qualcuno. Siamo partiti, dopo le elezioni, a 'mai con il Pdl' e un Presidente di nostro riferimento perché sarebbe durato sette anni. Non abbiamo mantenuto nessuna delle due promesse, non siamo più maggioranza ma neanche opposizione e il presidente è provvisorio». Durissimo il giudizio anche sulla squadra di governo: «Lupi ministro alla sanità? Non ho parole», scriveva qualche giorno fa.

Chi invece alla fine approva la fiducia al governo Letta è il senatore Walter Tocci che, con il suo voto contrario alla riunione dei gruppi, aveva generato qualche equivoco. «Non ho mai pensato di non dre la fiducia al governo», spiega all'Espresso: «Ho fatto anche un comunicato per chiarire tutto». Vicesindaco di Roma durante le giunte di Francesco Rutelli, Tocci viene dalle file del Pci, Pds, Ds. E' in Parlamento dal 2001, e quest'anno ci è tornato grazie alle primarie, dove ha raccolto 3571 voti.

Il suo intervento alla riunione del gruppo tuttavia è stato molto critico nei confronti dei dirigenti democratici. Un'analisi spietata degli errori commessi dal centrosinistra, riportata integralmente sul suo blog. Dove ha scritto: «Se siamo a questo punto, dobbiamo dirci la verità: Berlusconi ha mostrato un'intelligenza tattica superiore a quella del nostro stato maggiore. Non ha sbagliato una mossa: solo cinque mesi fa era nella polvere; ora i nostri errori lo hanno fatto rinascere come statista, ed è successo tante altre volte in passato. Purtroppo le dimissioni del Papa non sono l'unico pronostico azzeccato da Nanni Moretti: con questi dirigenti non abbiamo mai vinto».

Una bocciatura senza mezzi termini di tutta la classe dirigente democratica, ma accompagnata poi da un atto di fiducia verso il governo al “servizio del paese”.