"Mai più un'altra Eternit". Ora Matteo Renzi lascia l'annuncite e corre sulla prescrizione

Dopo la stupefacente sentenza della Cassazione, la spinta verso una riforma che fino a ieri si dava per dispersa. Tanto più perché il governo l'aveva approvata ad agosto in consiglio dei ministri, senza però metterla nero su bianco. E finendo così pure per rallentare i lavori in Parlamento

La riforma della prescrizione, adesso che in prima pagina lampeggia la stupefacente sentenza della Cassazione sul processo Eternit (condanne annullate per intervenuta prescrizione, appunto), vogliono farla tutti e subito. Da Matteo Renzi in avanti. Pure la leader Cgil Susanna Camusso, in una consonanza più unica che rara con le logiche del premier, vorrebbe addirittura che arrivasse “per decreto nelle prossime ore”.

Fino a ieri, però, la musica era un’altra. Tant’è che, giusto l’altroieri, non si sa se per naso o per caso, la presidente della commissione Giustizia della Camera Donatella Ferranti, intervistata dal Sole 24 Ore, aveva suonato la campanella dell’urgenza proprio su quella riforma, incalzando il governo: “Non è più tempo di annunci. In Parlamento andiamo avanti. Spero che il governo non voglia fare il convitato di pietra”. Gran tempismo, per un auspicio che aveva di certo il pregio di prescindere dalla cronaca giudiziaria.

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Perché ora, sull’onda Eternit, è lo stesso Renzi che – dopo due mesi di silenzio – torna a promettere: “Se la vicenda Eternit è un reato ma prescritto, vuol dire che bisogna cambiare le regole del gioco sulla prescrizione" perché "non ci deve essere l'incubo della prescrizione". Parole ben scelte. Ma, ecco, c’è voluta una sentenza del genere per risvegliare l’urgenza di una riforma che, altrimenti, essendo spinosa per la maggioranza, se ne stava ben acquattata tra le pieghe di provvedimenti dispersi nel nulla.

La Ferranti, giusto per tornare alla realtà, proprio ieri ricordava infatti asciutta, e persino senza le lamentazioni di rito, che di fatto gli annunci del governo hanno rallentato i lavori della commissione. Al quarto piano di Montecitorio, infatti, l’esame delle varie proposte di legge per cambiare la prescrizione era cominciato ben prima dell’estate: ma poi è arrivato l’annuncio del governo di voler intervenire direttamente, e dunque la commissione Giustizia ha rallentato i lavori, allungando anche di un paio di mesi il previsto ciclo di audizioni, per aspettare le carte da via Arenula. Del resto, dopo averlo detto anche a giugno, il 29 agosto il Consiglio dei ministri aveva dato il via libera per una legge delega che riformasse il processo penale – ivi compresa la prescrizione – parlandone, allora, come di cosa pressoché fatta. Questione di giorni. Invece, delle carte nessuna traccia.

In compenso, si era invece aperta una querelle con la omologa commissione Giustizia del Senato, anch’essa impaziente di discutere di prescrizione, contenuta, in questo caso, nel ddl anticorruzione, anch’esso bloccato per mesi in attesa di una parola del governo. Negli ultimi due giorni, la concorrenza Camera-Senato si è appianata: un accordo tra i rispettivi presidenti, come ha ricordato oggi in Aula a Palazzo Madama Maurizio Gasparri, ha stabilito che sia la Camera ad occuparsene per prima. Ma come, in che modo?

Allo stato, previa conferma dell’”urgenza” e della “priorità” della materia, in attesa di novità ulteriori dal governo, valgono le parole dell’altro giorno della presidente Ferranti: “Noi andiamo avanti convinti”, “io spero ancora che il governo presenti un suo testo di mediazione”, magari presto. Per evitare “il rischio, come è accaduto con la responsabilità civile dei giudici, che a forza di rinviare, il governo arrivi quando l’iter parlamentare è in fase così avanzata da escludere la possibilità di un abbinamento con le altre proposte di legge, per cui l’unica soluzione diventa la trasformazione del ddl in un emendamento”. Sul quale, magari, mettere la fiducia.

Proprio la disciplina sulla prescrizione, del resto, rappresentò il punto di maggior frizione, all’interno della maggioranza, all’epoca della definizione dei sette provvedimenti del pacchetto giustizia approvati in Consiglio dei ministri. Per almeno due grosse difficoltà: quella di contemperare le diverse priorità del centrodestra ex berlusconiano e del Pd, e quella di trovare un equilibrio tra l’esigenza di allungare la prescrizione e quella di sveltire i processi (o almeno portarli a tempi ragionevoli). E la mediazione di massima trovata a fine agosto tra Pd ed Ncd – un meccanismo a singhiozzo che prevede una sospensione di due anni dei termini di prescrizione dopo la sentenza di primo grado, e di un anno dopo l’appello – non ha convinto molti.

Certamente non i magistrati. Nell’audizione sul punto, svolta in commissione giustizia proprio in questi giorni, il presidente dell’Anm Rodolfo Sabelli ha osservato che la riforma è “insufficiente”, perché “lasciava intatta, per il resto, la struttura della prescrizione come venuta fuori dalla legge ex-Cirielli”. Ossia la legge del 2005, voluta da Berlusconi, considerata da sempre dalle toghe come un esempio pratico di male assoluto, ma difficile da cambiare, con una maggioranza come quella che sostiene il governo Renzi. Chissà se la sentenza Eternit, pur nella sua specificità, non serva almeno a dare una spinta alla riforma.

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