In Sicilia mancano quasi tre miliardi di euro per coprire i costi della Regione. Rosario Crocetta, impegnato nel terzo rimpasto di giunta e marcato stretto dal governo Renzi per la tenuta dei conti, ha tagliato quel che ha potuto.
Il peso della leggendaria burocrazia isolana rimane però intatto. Ogni anno, soltanto per gli stipendi dei dipendenti a tempo indeterminato, escono 955 milioni di euro. L’organico è da record: 17.538 addetti, tra cui spiccano 1773 dirigenti. Con dei casi limite, come l’Ufficio di vigilanza sulle opere pubbliche dove i due dirigenti comandano solo se stessi.
O l’ufficio di auditing per i programmi cofinanziati dalla Ue: su 28 dipendenti si contano 15 capi. Sull’isola c’è spazio per tutti. Dalla relazione della Corte dei Conti si scopre che alla voce “personale utilizzato ad altro titolo” ci sono 2600 addetti che lavoravano in enti chiusi negli anni Novanta e assorbiti da mamma Regione.
Altra zavorra sono le trentaquattro società partecipate. Dal cinema all’agroalimentare, passando dall’artigianato fino alla ricerca scientifica. Dovevano essere l’avanguardia del “made in Sicily” e sono diventate quasi tutte dei carrozzoni, che producono soltanto poltrone.
In quattro anni è stato bruciato quasi un miliardo di euro per fare fronte ai costi operativi e alle passività accumulate. E ancora oggi danno lavoro a 7.325 persone con una voce di uscite (solo per gli stipendi) di 407 milioni all’anno. Il governatore Crocetta sin dal suo insediamento aveva giurato guerra: «Le partecipate, in liquidazione da anni, chiuderanno subito. Un provvedimento che consentirà di risparmiare un miliardo di euro».
Dopo l’annuncio venne creato anche un ufficio ad hoc per la dismissione di quelle inutili e il rilancio di quelle necessarie. Trovare la quadratura del cerchio tra buone e cattive non è stato semplice e l’annunciato piano tarda ad arrivare. Con dei clamorosi dietro front.
Sicilia e-Servizi era nata per nel 2005 per volontà dell’ex presidente Totò Cuffaro. L’idea era farne un fiore all’occhiello della tecnologia digitale al servizio dell’e-government. Obiettivo fallito, tanto da spingere la nuova giunta a nominare l’ex pm di Palermo Antonio Ingroia commissario liquidatore.
Con il suo passato di magistrato antimafia e di inchieste clamorose, sembrava l’uomo giusto per mettere fine all’emorragia di soldi pubblici. Passati pochi mesi ecco la retromarcia: la società affidata ad Ingroia va rilanciata grazie a 74 nuovi assunti.
Una ripartenza con fondi regionali giudicata illegittima dalla Corte dei Conti che stima un danno erariale a 2,2 milioni di euro provocato dall’operazione.
Un bello smacco per l’ex leader di Rivoluzione civile Ingroia che in campagna elettorale tuonava contro gli «sprechi, i privilegi e la pletora di consigli d’amministrazione clientelari».