Non solo fu approvato il fiscal compact, il patto di bilancio europeo, «ma fu anche inserito nella Costituzione in una formulazione ancora più rigida». Fu un errore, secondo il deputato del Pd (minoranza interna) Stefano Fassina. Che guida ora la battaglia per modificare l’articolo 81 della Costituzione, inserendo la possibilità «di indebitarsi per finanziare gli investimenti». Magari proprio «quelli di cui parla Renzi, a partire dalla scuola», perché Fassina è sicuro: l'uscita dalla crisi e il rispetto delle promesse «non si ottengono con soli tagli».
E se quando fu approvato l'accordo serviva a «convincere l’opinione pubblica tedesca», «ora la crisi è peggiorata» ed è quindi necessario «invertire la rotta». La reazione del partito però non sarà unitaria. Anzi, ci sarà da discutere perché «una parte rimane bloccata sull’ortodossia».
E se quando fu approvato l'accordo serviva a «convincere l’opinione pubblica tedesca», «ora la crisi è peggiorata» ed è quindi necessario «invertire la rotta». La reazione del partito però non sarà unitaria. Anzi, ci sarà da discutere perché «una parte rimane bloccata sull’ortodossia».
Fassina, fu un errore approvare il fiscal compact?
«Sì, fu un errore. Ma fu un errore soprattutto inserirlo nella Costituzione in una formulazione ancora più rigida».
Il Pd però ha sempre difeso la scelta. Quando fu fatta non si alzarono voci critiche. Lei stesso disse che la scelta «pur sbagliata sul piano economico» era utile perché «si doveva dare garanzie all’opinione pubblica tedesca». Cos’è cambiato?
«Intanto è cambiato il fatto che la scelta di inserire il vincolo nella Costituzione è rimasta una scelta solo italiana, che non era prescritta. Poi è mutato il contesto generale. La crisi è peggiorata drammaticamente e non c’è stata alcuna apertura nel contesto europeo rispetto a misure che bilanciassero il mancato ricorso all’indebitamento. Non si sono verificate né le aperture sugli Euro project bond né sull’aumento della domanda interna tedesca. E’ necessario prendere atto di tutto questo e invertire la rotta».
Lei e Alfredo D’Attorre volete approfittare del pacchetto di riforme costituzionali, sul Senato e sul titolo V, e presenterete un emendamento. Renzi che ne dice?
«Abbiamo informato la segreteria che avremmo intrapreso questa iniziativa».
E che reazioni avete avuto?
«Non abbiamo avuto reazioni, anche perché dovremo discuterne innanzitutto con il gruppo al Senato, che sarà per primo impegnato sulle riforme».
Ma ne avete già discusso nell’ultima assemblea dei gruppi, Renzi presente.
«Sì, ne abbiamo parlato alla riunione dei gruppi e ne parleremo in direzione. Per ora abbiamo e abbiamo registrato reazioni diverse: una parte del partito condivide la necessità di dare una risposta diversa alla crisi e una parte rimane bloccata sull’ortodossia».
E sarebbe quella più filogovernativa, perché il ministro Pier Carlo Padoan, intervistato da Repubblica, dice che l’Italia non solo rispetterà Maastricht «ma anche al Fiscal compact».
«Con il rispetto di tutti i parametri che ricordano Renzi e Padoan alla fine dell’anno avremo meno ripresa, più debito pubblico e più inflazione. Noi diciamo che è ora di ammetterlo».
Lei ritiene quindi impossibile che Renzi possa mantenere le promesse fatte, e più in generale rilanciare il paese, senza indebitarsi?
«Io penso che non ci possa riuscire quasi nessuno, nell’euro zona, ad uscire dalla crisi. Stiamo scivolando nella deflazione. Dire che se ne esce con i tagli, e che si fanno tutte le cose che ha detto il governo, è un’illusione».
La modifica che proponete è al secondo comma, che dovrebbe recitare «Il ricorso all’indebitamento è consentito a fine di finanziare investimenti». Quali investimenti?
«Quelli che cita sempre Renzi, ad esempio, sulle scuole o sul dissesto idrogeologico. Poi potremmo immaginare un intervento una tantum contro la disoccupazione giovanile, istituendo un servizio civile per il lavoro. Oppure un intervento straordinario contro la povertà».
Un reddito minimo?
«Potrebbe essere una forma di reddito, anche se temporaneo, non permanente. L’obiettivo comunque deve essere quello di rimettere in moto la domanda. Se non allarghiamo il deficit, anche riuscendo a intervenire sull’Irpef, l’effetto sarebbe nullo se non negativo».
Sul rispetto dei vincoli europei, e sul lavoro, la sinistra Pd sta marcando una distanza dal premier, che però non sembra ascoltarvi molto.
«Sul decreto lavoro c’è una diffusa esigenza di correzione. Non siamo solo noi a dire che servono modifiche, sia sul contratto di apprendistato, che è stato svuotato dalla formazione e privato delle possibilità di stabilizzazione, che sul contratto determinato, che senza casualità rende il lavoratore usa e getta per tre anni e con otto proroghe. Sono quindi sicuro che troveremo ascolto. E il discorso vale anche per i documenti di finanza pubblica. Perché con tutto il rispetto per Padoan, che ancora oggi ribadisce la linea del rigore, è evidente che questa non basta».