"Dobbiamo imprimere un cambiamento, con equilibrio e coraggio. Per governare una realtà complessa come Perugia devi saper parlare con tutti". È così che Andrea Romizi, 35 anni, avvocato, dal 1999 in Forza Italia, descrive il percorso che lo attende, iniziato una settimana fa, con il ballottaggio che lo ha incoronato sindaco del capoluogo umbro. Il primo di centrodestra, dopo quasi settanta anni di governo targato Pci e Ds, prima, Pd poi, al netto di una breve parentesi negli anni '60, quando a governare era una coalizione tra Dc, Psi, socialdemocratici e liberali.
Con un largo 58% a 42%, Romizi ha strappato la poltrona di primo cittadino allo sfidante del Pd Wladimiro Boccali: una vittoria neanche tanto di misura, che ha bloccato la strada al secondo mandato del candidato democratico.
Ma quali sono i fattori che hanno prodotto questa storica inversione di rotta nel cuore politico-amministrativo dell'Umbria, da sempre roccaforte della sinistra? Di certo non la crescita dei partiti del centro-destra umbro, che - anzi - diminuiscono. Sommando i rispettivi voti, Forza Italia, Nuovo centro Destra e Fratelli d'Italia, infatti, prendono meno che alle amministrative del 2009 (allora la lista del Popolo d'Italia aveva raggiunto il 27.6 % dei consensi).
Sono in molti, allora, a parlare di "successo personale" del giovane avvocato, proposto come candidato all'ultimo momento, dopo settimane di forti incertezze interne alla sua compagine. Lo stesso Romizi, a campagna elettorale avviata, dichiarava di aver ricevuto più attestati di stima più dallo schieramento opposto che dai suoi colleghi del centrodestra. "Ho voluto - spiega col senno di poi - dismettere i panni di capo dell'opposizione e più che rivolgermi ai miei ho guardato oltre. Forse alcuni nel mio stesso schieramento sono rimasti spaesati e avrebbero voluto altro".
E proprio sul candidato forzista, inoltre, sarebbero convogliati, in fase di ballottaggio, la maggior parte dei voti del M5S: quasi il 40%, stando allo studio realizzato a tempi di record di Agenzia Umbra Ricerche.
C'è poi tutta la questione di un Partito democratico, quello perugino, in affanno per un mix di ragioni, prima fra tutte la difficile congiuntura economica, che si traduce inevitabilmente in uno svantaggio per l'amministrazione uscente. Ma anche una estrema frammentazione del partito. Parafrasando un vecchio leitmotiv della politica, il potere logora chi ce l'ha, e da troppo tempo.
Niente più truppe cammellate da mobilitare sulla base dell'ideologia o della convenienza. E sempre più voto d'opinione. Forte l'astensione tra un turno e l'altro, tutta a svantaggio del sindaco uscente Boccali, che perde quasi 13.000 voti.
Dal canto suo, Andrea Romizi non ha dubbi: "Per il centrosinistra si è esaurita la rendita di posizione: il governo della città era da troppo tempo arroccato in un sistema di potere. L'autoreferenzialità aveva interrotto il dialogo con la città, il tutto non senza una certa arroganza".
Ma il caso di Perugia è ancora più significativo , se raffrontato con il risultato delle elezioni europee del 25 maggio, quando il PD ha sfiorato, in Umbria, il 50%. Le elezioni amministrative del capoluogo, dunque, in netta controtendenza rispetto al dato politico relativo alla stessa Umbria, emerso in occasione del voto per l'Europarlamento. Un vero e proprio crollo dei consensi, che ha dato il là a quella che somiglia ad una vera e propria resa dei conti interna al PD perugino, tra renziani e non, con il candidato uscente Boccali visto come rappresentante del Pd più tradizionale, della stagione politica oggi minoritaria all'interno della compagine democratica. Su questo Romizi preferisce sorvolare "Non entro nelle discussioni interne ad altri partiti e le rispetto. Comunque dai cittadini è arrivato, per tutti, un segnale: la politica deve sapersi rinnovare e stare al passo con i tempi".
Romizi, dunque, il rottamatore del centrodestra? "Sono partito da una revisione integrale del modo di comunicare la politica. Il centrodestra umbro aveva bisogno di riorganizzarsi e recuperare la fiducia del territorio". "Di Matteo Renzi - continua il neosindaco - apprezzo la capacità di stimolare il voto post-ideologico: prima delle collocazioni e degli schieramenti c'è il nostro essere cittadini, di una città e di una nazione. Basta con le divisioni tra Guelfi e Ghibellini: hanno prodotto lacerazioni profonde.
E a chi insinua che avrebbe voluto smarcarsi dall'immagine politica di Silvio Berlusconi, risponde "Non ho mai rinnegato la mia provenienza. Nessun tentativo di camuffamento. Semmai ho voluto includere, allargare certi confini e dialogare con chi proviene da altre storie, culture e sensibilità, anteponendo l'interesse generale della comunità cittadina".